Un nuovo capitolo si è aperto nella lunga saga delle indagini sulla strage di via D’Amelio: le case dell’ex procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, scomparso nel 2017, sono state perquisite dai carabinieri del Ros su mandato della Procura di Caltanissetta. L’obiettivo è chiarire il ruolo che l’ex magistrato avrebbe avuto nei depistaggi legati alla strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, e soprattutto per cercare tracce della famosa “agenda rossa” di Borsellino, il taccuino che secondo molti sarebbe la chiave per svelare i mandanti esterni del delitto.
L’operazione, condotta in tre appartamenti tra Catania e Caltanissetta, è stata motivata da una serie di elementi che hanno fatto emergere concreti indizi circa la possibile appartenenza di Tinebra a una loggia massonica coperta a Nicosia (Enna). Inoltre, è emerso un appunto del 20 luglio 1992, il giorno dopo la strage, firmato dal capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, in cui si attesta la consegna a Tinebra di una borsa in pelle e di un’agenda appartenenti al giudice Borsellino. Questo documento, mai sottoscritto da Tinebra e mai trasmesso alla Procura di Caltanissetta, è al centro dell’attenzione degli inquirenti.
Giovanni Tinebra nacque a Enna il 15 giugno 1941 e morì a Catania il 6 maggio 2017, all’età di 75 anni, a causa di una lunga malattia
Proveniente dal cuore della Sicilia, Tinebra ha legato la sua vita e la sua carriera proprio a questa regione, diventando una figura di primo piano nella magistratura siciliana, soprattutto nel periodo più drammatico della lotta alla mafia.
La sua infanzia e la sua formazione si svolsero in Sicilia, terra nota per le sue contraddizioni sociali e per la presenza radicata della criminalità organizzata. Questi elementi avrebbero influenzato profondamente il suo percorso professionale, portandolo a scegliere la magistratura come strumento di giustizia e di cambiamento.
La vita privata di Giovanni Tinebra è sempre stata caratterizzata da una grande riservatezza, in linea con la sua personalità discreta e il suo ruolo istituzionale. Tinebra era sposato e aveva almeno un figlio, come emerso dalle recenti perquisizioni che hanno riguardato anche le abitazioni della vedova e dei figli.
Nonostante la sua figura pubblica e il suo impegno nella lotta alla mafia, Tinebra ha sempre cercato di proteggere la sua famiglia dai riflettori mediatici, evitando di esporre moglie e figli a rischi o a pressioni indebite. Questa scelta di riservatezza è stata confermata anche negli ultimi giorni, quando le perquisizioni sono state condotte con la massima discrezione, senza clamori mediatici e nel rispetto della privacy dei familiari.
Tinebra entrò in magistratura nel 1967 e, dopo una serie di incarichi minori, divenne procuratore di Nicosia, in provincia di Enna, dove rimase dal 1969 al 1992. In questo lungo periodo, Tinebra si distinse per la sua capacità di coordinare indagini complesse e per la sua incisività nell’affrontare fenomeni criminali di grande rilievo.
Dal luglio 1992 al 2001 fu procuratore della Repubblica di Caltanissetta, ruolo che lo portò a occuparsi di alcuni dei casi più importanti della storia giudiziaria italiana. Tra questi, l’Operazione Leopardo, un maxi-blitz con oltre 200 ordini di cattura eseguiti in tutta Italia, che disarticolò l’organizzazione mafiosa nelle province di Caltanissetta ed Enna capeggiata dal boss Giuseppe “Piddu” Madonia.
Tinebra fu anche titolare delle inchieste per la strage di Capaci e per la strage di via D’Amelio, basate inizialmente sulle dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino, poi ritenuto inaffidabile. Negli anni Novanta, riaprì le indagini su altri episodi drammatici come il fallito attentato dell’Addaura e la strage di Pizzolungo, oltre che sugli omicidi dei magistrati Rocco Chinnici e Antonino Saetta, contribuendo a portare alla condanna di numerosi mandanti ed esecutori mafiosi.
La perquisizione delle case di Giovanni Tinebra rappresenta una svolta significativa nell’indagine sui depistaggi legati alla strage di via D’Amelio. I carabinieri del Ros, su mandato della Procura di Caltanissetta guidata da Salvatore De Luca, hanno eseguito tre perquisizioni tra Catania e Caltanissetta, sequestrando documenti e aprendo una cassetta di sicurezza.
L’obiettivo principale era chiarire il contesto in cui si collocarono i depistaggi sulla strage e la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino. Gli inquirenti hanno acquisito un appunto del 20 luglio 1992, firmato da Arnaldo La Barbera, in cui si attesta la consegna a Tinebra di una borsa in pelle e di un’agenda appartenenti al giudice Borsellino. Tuttavia, questo appunto non è mai stato sottoscritto da Tinebra e non è mai stato trasmesso alla Procura di Caltanissetta, alimentando dubbi e sospetti sulla reale dinamica della consegna.
La Procura ha anche acquisito elementi che farebbero ipotizzare l’appartenenza di Tinebra a una loggia massonica coperta a Nicosia, un’ipotesi che si aggiunge ai filoni d’indagine sui mandanti esterni della strage di via D’Amelio. Gli accertamenti, però, non hanno ancora permesso di verificare se la consegna dell’agenda sia effettivamente avvenuta nelle mani di Tinebra e se l’agenda in questione fosse proprio la famosa agenda rossa.
Le indagini proseguono, con la speranza di fare luce su una delle pagine più oscure della storia giudiziaria italiana e di restituire verità e giustizia alle vittime della strage di via D’Amelio. La figura di Giovanni Tinebra, magistrato di grande esperienza e autorevolezza, resta al centro di un caso che continua a interrogare la società italiana e la sua capacità di fare i conti con il passato.