08 Jul, 2025 - 12:23

"Città umanitaria" a Gaza, cos'è il progetto israeliano e quali sono le criticità

"Città umanitaria" a Gaza, cos'è il progetto israeliano e quali sono le criticità

Nel pieno del conflitto in corso nella Striscia di Gaza, Israele ha annunciato un nuovo progetto che solleva interrogativi politici, umanitari e legali. Si tratta della creazione di una cosiddetta “città umanitaria” destinata ad accogliere centinaia di migliaia di sfollati palestinesi. Secondo i critici il piano potrebbe nascondere obiettivi più ampi, tra cui il ridisegno demografico e territoriale dell’enclave.

Una "città umanitaria" sulle rovine di Rafah

Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha dichiarato, il 7 luglio, di aver incaricato le forze armate e il ministero di presentare un piano per costruire una "città umanitaria" nel sud della Striscia di Gaza, precisamente sulle rovine di Rafah.

Secondo quanto riportato dai media israeliani, il progetto sarebbe destinato ad accogliere inizialmente circa 600mila palestinesi sfollati che attualmente vivono nella zona di al-Mawasi, sulla costa dell’enclave. Queste persone verrebbero sottoposte a controlli per assicurarsi che non vi siano infiltrazioni di agenti di Hamas.

Come ha più volte ribadito il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, l’obiettivo della leadership israeliana non è soltanto quello di distruggere le capacità militari del movimento ma anche di porre fine al suo governo nella Striscia.

Tuttavia, secondo quanto riferito, a coloro che entreranno nell’area umanitaria non sarà consentito lasciare la zona. Questo aspetto solleva interrogativi sul reale grado di libertà di movimento dei civili e sulle condizioni in cui si troverebbero a vivere.

La gestione internazionale

Secondo le informazioni disponibili, la zona umanitaria non verrebbe amministrata direttamente dalle Forze di difesa israeliane ma da organismi internazionali. 

In questo contesto, viene spontaneo pensare alla Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta sia da Israele che dagli Stati Uniti, che attualmente si occupa della distribuzione degli aiuti umanitari all’interno dell’enclave.

Il ministro Katz, tuttavia, non ha precisato quali organizzazioni si occuperebbero della gestione della città.

Il piano prevede di trasferire l’intera popolazione palestinese, oltre 2 milioni di persone, in quest’area. Israele si impegnerebbe a istituire tale zona durante un eventuale cessate il fuoco della durata di 60 giorni.

Tuttavia, i dettagli su come funzionerebbe questa “città umanitaria” restano poco chiari. Ci si interroga se essa debba essere intesa come un punto di transito o come un insediamento permanente.

Un rapporto di Reuters, pubblicato sempre il 7 luglio, fornisce ulteriori elementi. Secondo quanto riportato, sarebbe allo studio un piano per creare “aree di transito umanitario”. Una proposta visionata dall’agenzia descriverebbe la costruzione di campi su “larga scala” e “su base volontaria”. In queste strutture, la popolazione di Gaza potrebbe “risiedere temporaneamente, deradicalizzarsi, reintegrarsi e prepararsi a trasferirsi, se lo desidera”.

Il piano, redatto poco dopo l’11 febbraio, mentre era ancora in corso una tregua, avrebbe un costo stimato di 2 miliardi di dollari.

Secondo quanto riferito da Reuters, si incoraggia l’impiego di strutture di ampia portata per conquistare la fiducia delle comunità locali e sostenere la visione del presidente statunitense Donald Trump per il futuro di Gaza.

Il ministro israeliano ha affermato che il piano annunciato “dovrebbe essere realizzato”, lasciando intendere che Tel Aviv considera il progetto più di una semplice proposta sul tavolo.

Le ambizioni di Tel Aviv e le possibili implicazioni legali

Alla luce di queste informazioni, torna alla mente anche il discusso progetto di trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”. Sorge spontanea la domanda: è un piano ormai abbandonato?

In parallelo, Katz ha sottolineato l’ambizione di incoraggiare i palestinesi a “emigrare volontariamente” da Gaza verso altri paesi.

Durante una visita ufficiale a Washington, Netanyahu ha affermato che Stati Uniti e Israele stanno collaborando con altri stati disposti ad accogliere i palestinesi offrendo loro un “futuro migliore”.

All’inizio del suo secondo mandato, Trump aveva definito la Striscia un “sito di demolizione” e suggerito che i palestinesi avrebbero dovuto lasciare Gaza “per vivere in pace”. In seguito, i media statunitensi hanno più volte riferito che Washington e Tel Aviv erano impegnati in contatti diplomatici con diverse nazioni per la possibile accoglienza dei civili.

Qualunque sia il progetto finale, cresce la preoccupazione che Israele possa, in una fase successiva, puntare a stabilire insediamenti permanenti nelle aree evacuate. Anche se i membri del governo israeliano continuano a parlare di un trasferimento “volontario” della popolazione palestinese, numerosi esperti sottolineano che il piano di Katz viola il diritto internazionale.

Dopo il fallimento dell’accordo di cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi nel mese di marzo, Tel Aviv ha lanciato una nuova incursione di terra nella Striscia di Gaza. Attualmente, le forze israeliane controllano circa il 70 per cento dell’enclave palestinese.

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