Netflix torna a scuotere il pubblico con una di quelle storie che sembrano uscite da un thriller, ma che, invece, sono drammaticamente vere.
La vera storia di Angi è la docuserie che ha già fatto discutere milioni di spettatori e che sta avendo un grande successo in tutto il mondo.
Una vicenda intricata, fatta di bugie, identità fittizie, manipolazioni e colpi di scena continui. Chi è davvero Angi? Cosa ha spinto questa donna a reinventarsi più e più volte, fino a creare un labirinto di vite parallele?
La serie, costruita su testimonianze dirette, registrazioni e indagini giornalistiche, ci guida in un viaggio oscuro nella mente di una persona capace di trasformarsi mille volte e ingannare chiunque. Se ami i true crime con una forte componente psicologica, non puoi perderti assolutamente Angi!
A volte, la realtà supera la finzione più macabra. Nel 2008, la morte di una stilista in un appartamento di Barcellona scoperchiò un vaso di Pandora terrificante e rivelò uno dei crimini più calcolati e inquietanti della storia spagnola.
L'artefice non era un mostro riconoscibile, ma un camaleonte umano: una donna capace di inventare vite, manipolare menti e uccidere per denaro, nascondendosi dietro un sorriso amichevole.
Questa è la storia di María Ángeles Molina, nota come Angi, la cui vita di inganni è al centro del documentario Netflix Angi: Crimini e Bugie.
La vittima, Ana Páez, era una stilista di 35 anni che in Angi credeva di aver trovato un'amica fidata, quasi una mentore. Il loro legame, nato dieci anni prima sul posto di lavoro, si era consolidato in una fiducia cieca.
Angi si presentava come una donna d'affari di successo, colta e generosa, un faro nella vita di Ana.
Quello che Ana non poteva immaginare era di essere la protagonista inconsapevole di un piano diabolico, una pedina in un gioco mortale il cui unico scopo era rubarle prima l'identità, e poi la vita.
Il 19 febbraio 2008, il piano di Angi giunse al suo culmine. Ana fu trovata senza vita, nuda, con un sacchetto di plastica sigillato sulla testa. La scena del crimine era un macabro palcoscenico, allestito per suggerire una violenza sessuale. Ma era solo l'ennesima finzione.
Per rendere credibile la sua messa in scena, Angi aveva pagato due uomini in un bordello per ottenere campioni di sperma, poi depositati sul luogo del delitto. Un tentativo goffo e agghiacciante di depistare le indagini.
Ma il castello di bugie di Angi crollò miseramente. Le prove la incastrarono senza scampo. Le telecamere di sorveglianza l'avevano ripresa mentre, indossando una parrucca, prelevava denaro dal conto di Ana poco prima dell'omicidio. Il suo alibi, che includeva un viaggio a Saragozza per recuperare le ceneri del padre, si rivelò un costrutto fragile.
Messa alle strette, Angi fornì versioni contraddittorie inguaiandosi con le sue stesse menzogne.
Durante il processo, pronunciò una frase che gelò il sangue ai presenti per la sua freddezza surreale: "Senza yogurt o latte condensato, non sono niente". Una dichiarazione che rivelava un distacco totale dalla realtà e dalla gravità delle sue azioni.
L'omicidio era l'atto finale di una truffa finanziaria complessa. Prima di uccidere Ana, Angi aveva usato la sua identità per accendere prestiti e stipulare polizze vita milionarie. Il piano era semplice e spietato: eliminare Ana, fingersi lei e incassare il denaro.
E Ana non era la sua unica vittima. Aveva rubato l'identità anche a un'altra donna, Susana B., usandola per aprire conti e compiere transazioni fraudolente.
La scoperta di documenti nascosti nel suo bagno e di una bottiglia di cloroformio sigillata non lasciarono dubbi sulla premeditazione. Nel 2012, Angi fu condannata a 22 anni di carcere. Ma la sua scia di inganni era ben più lunga.
L'indagine portò a riaprire il caso della morte sospetta di suo marito, avvenuta nel 1996, da cui aveva ereditato una fortuna. Un caso che, purtroppo, rimane irrisolto per mancanza di prove.
La vita di Angi era un'opera teatrale di cui era unica autrice e protagonista. Si era finta psicologa, avvocatessa, malata di cancro. Aveva inventato figli e finto gravidanze.
Come ha detto il regista del documentario, indagare su di lei è stato come perdersi in una "galleria degli specchi". Una vita intera costruita sulla menzogna, culminata con un omicidio (e forse più di uno) che ci ricorda come, a volte, anche nelle persone più rassicuranti può nascondersi il male più profondo.