È passato un anno esatto dal giorno in cui Sharon Verzeni, 33enne di Bottanuco, fu brutalmente uccisa a Terno d'Isola, in provincia di Bergamo. Un caso, il suo, che scosse la comunità, lasciando l'Italia intera con il fiato sospeso. Il presunto assassino fu scoperto e arrestato, infatti, un mese dopo l'agguato, grazie all'analisi delle telecamere di videosorveglianza installate nei pressi della scena del crimine. Confessò, poi ritrattò tutto. Oggi è sotto processo.
Sharon Verzeni fu uccisa nella notte tra il 29 e il 30 luglio 2024 in via Castegnate, a Terno d'Isola. Originaria di Bottanuco, la 33enne viveva da tempo - insieme al compagno Sergio Ruocco, di professione idraulico - nella cittadina in provincia di Bergamo, lavorando come barista per il "Vanilla Food" di Brembate.
Quella sera era uscita tardi - mentre Ruocco dormiva - per passeggiare, cosa che una nutrizionista le aveva consigliato di fare dopo i pasti, per digerire. Poco prima dell'una, uno sconosciuto la avvicinò e la colpì ripetutamente alle spalle con un coltello. Lei ebbe giusto il tempo (e la forza) di chiamare il 112 per denunciare: "Mi ha accoltellata". Subito dopo crollò a terra, esanime.
La ricostruzione del caso in un servizio mandato in onda dalla trasmissione Rai "Estate in diretta" il 5 settembre 2024.
I sospetti si concentrarono, come spesso avviene in casi simili, sulle persone a lei più vicine, in particolare sul compagno, che subito si dichiarò estraneo ai fatti. I filmati delle telecamere installate nei pressi dell'abitazione della coppia e i tabulati del suo cellulare confermarono la sua versione. A quel punto, gli inquirenti iniziarono ad avanzare l'ipotesi di uno "sbandato".
Si riteneva che Sharon potesse essere stata aggredita dopo aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Grazie alle testimonianze di alcune persone che la notte dell'omicidio erano passate da via Castegnate e ad alcuni video si arrivò poi al nome di Moussa Sangare, 31enne italiano di origini maliane ora a processo.
Il giovane era stato ripreso mentre si allontanava in bici, ad alta velocità, dalla scena del crimine. Una volta fermato, confessò: "Ho avuto un raptus. L'ho vista e l'ho uccisa". E spiegò che era uscito di casa con quattro coltelli perché sentiva l'impulso di fare del male a qualcuno. Dopo l'accoltellamento, si allontanò attraverso i campi, portando con sé l'arma del delitto "per ricordo del suo primo omicidio".
Nei giorni successivi, come se niente fosse, uscì con gli amici. Per eludere i controlli, si tagliò i capelli. Incensurato, Sangare era già indagato per maltrattamenti nei confronti della sorella e della madre (reato per cui di recente è stato condannato a tre anni e otto mesi dal tribunale di Bergamo). Dopo aver ripetutamente ammesso le sue responsabilità, ha ritrattato tutto. "Contro di me non ci sono prove", ha affermato.
"Quello che mi dispiace è che da parte sua non sia mai arrivato un gesto di pentimento, una parola di scuse", ha dichiarato il padre della vittima, Bruno Verzeni, in un'intervista a Il Giorno. Insieme al resto della famiglia, grazie alla collaborazione di un gruppo missionario della parrocchia che frequentano, ha spiegato, ha promosso un fondo volto ad aiutare le donne vittime di tratte o di violenza in Africa.
"Sharon - ha detto - ci manca ogni giorno", anche se "la vita deve andare avanti, va avanti". Restano il dolore e lo sgomento. I rimpianti. Quest'anno la 33enne e il suo compagno avrebbero dovuto sposarsi.