Nessun riferimento politico, per favore, ma c’è qualcosa di “calcio al contrario” anche in questa estate di pallone sospeso tra Mondiale per club e mercato, mentre si aspetta di passare Ferragosto per l’inizio del campionato.
Tiene banco il tormentone Lookman-Inter: il “Corriere dello Sport” diretto da Ivan Zazzaroni ha dato la notizia in anteprima e spera che la vicenda si protragga il più a lungo possibile, tanto da tifare perché diventi addirittura una serie. Comprensibile, e naturalmente complimenti per lo scoop.
Ma, giusto per non farsi mancare nulla, forse sarebbe interessante dedicare almeno un episodio alla stravagante prova di forza inscenata da Inter e Atalanta. Nerazzurri e italo-americani sono entrambi i club, ma l’accordo sembra fermarsi solo ai colori sociali.
Da una parte c’è Marotta, che offre 45 milioni, non un euro di più, e dall’altra Percassi, che ne chiede 50, non uno di meno. Così bloccati da una settimana, forse anche di più.
L’Inter si sente forte dell’accordo già raggiunto con l’attaccante nigeriano, l’Atalanta rivendica il principio del “prezzo lo decide chi vende”. In sintesi, niente di nuovo rispetto a tanti storici tormentoni di calciomercato, finiti bene o male.
Una riflessione, però, va aggiunta: magari piccola, ma significativa. La valutazione reale di Lookman è in linea con la richiesta della società bergamasca. Se l’Inter non se ne rende conto, significa che il fondo Oaktree (presidenziale e decisionista, più di Marotta) ha in mano tutta la società, senza deleghe se non di facciata.
E poi, parliamoci chiaro: se l’Inter chiede più di trenta milioni per Bisseck, la famiglia Percassi pare, in proporzione, persino generosa nella valutazione di Ademola Lookman, che ha vinto il Pallone d’Oro africano 2024 ed è arrivato 14° al Pallone d’Oro mondiale nello stesso anno.
Dunque tiene banco Lookman-Inter, mentre “sottobanco”, cioè non proprio alla luce del sole, Milan e Juventus cercano una soluzione per Dusan Vlahovic. Sospeso come un acrobata circense sul filo dell’equilibrio tra aspettative tecniche, economiche e contrattuali, il serbo sta bloccando le due squadre e, inevitabilmente, anche se stesso.
Forte dell’ultimo anno di contratto a ventiquattro milioni lordi (già scesi a ventidue dopo la mensilità di luglio già corrisposta), costa alla Juve una cifra indubbiamente esagerata.
Considerando che nessuno – né il giocatore, né tantomeno il club bianconero – ha il coraggio di riproporre uno stipendio simile, il tentativo comune è di indirizzarlo al Milan prima che sia troppo tardi, ovvero prima della scadenza del 30 giugno 2026.
Operazione complicata: c’è da far quadrare i conti tra chi non vuole rinunciare a nulla (il giocatore), chi desidera risparmiare almeno un po’ (la Juve) e chi spera di non investire più di tanto (il Milan). Triangolazione difficile ma non impossibile, che intanto condiziona i movimenti di Kolo Muani alla corte di Tudor e di un altro centravanti in orbita Allegri.
A proposito di Allegri, è evidente la giravolta dei commenti e delle critiche rispetto a qualche mese fa. Chi gridava all’“anticalcio” ora applaude il pragmatismo. Chi lo accusava di rapporti difficili con lo spogliatoio juventino ora esalta il feeling con i rossoneri. Chi ironizzava sul “corto muso” si è appena trasformato in allegriano di ferro dopo il 9-0 rifilato ai pescatori australiani del Perth Glory.
E su Vlahovic, dopo l’infatuazione collettiva per il passaggio a (San)Thiago Motta e il ritorno alla tiepida stima per Tudor, è sparita la narrazione secondo cui avrebbe segnato “caterve di gol” con qualsiasi altro allenatore tranne il “diavolo livornese”.
Anzi, adesso solo Allegri può salvarlo, restituendogli almeno quei venti gol stagionali che segna con la Juve di Max. Proprio grazie all’impostazione tattica di quell’allenatore accusato di “non gioco” che adesso (guardate i giornali dopo la goleada amichevolissima contro il Perth Glory) è diventato “Allegri show”. Il calcio al contrario...