Alcuni film non si guardano: si vivono. Il Padrino è uno di questi. Dalla prima inquadratura al silenzio dell’ultima scena, il capolavoro di Francis Ford Coppola ha ridefinito il cinema, la figura del gangster e l’idea stessa di famiglia sullo schermo.
Ma dietro i dialoghi entrati nella storia, gli sguardi di Marlon Brando, la fotografia perfetta in chiaroscuro, si nascondono curiosità e dettagli mai raccontati.
In questo articolo ti portiamo dietro le quinte del mito, tra le curiosità che hanno fatto de Il Padrino non solo un film, ma un culto.
Pochi film hanno definito un genere e un'epoca come Il Padrino. È un classico immortale, un'opera d'arte la cui influenza si sente ancora oggi, a più di cinquant'anni dalla sua prima proiezione. Ma la sua genesi fu tutt'altro che semplice.
La storia della sua produzione è un racconto avvincente di battaglie artistiche, intuizioni geniali e felici incidenti, un percorso accidentato che trasformò un progetto a rischio in un miracolo cinematografico.
La Paramount Pictures, lo studio che produceva il film, e il regista Francis Ford Coppola si trovarono su fronti opposti fin dall'inizio.
Coppola, scelto quasi come ripiego dopo il rifiuto di registi più affermati, è stato sull'orlo del licenziamento durante gran parte delle riprese.
I dirigenti, che desideravano un gangster movie più convenzionale e meno introspettivo, non apprezzavano il suo ritmo lento e la fotografia cupa.
Arrivarono al punto di chiedere di modernizzare la storia, ambientandola negli anni '70 per tagliare i costi, e di girare a Kansas City invece che a New York.
Fu un braccio di ferro costante, vinto da Coppola solo dopo aver girato la scena cruciale dell'omicidio di Sollozzo e McCluskey, che finalmente convinse lo studio della sua visione.
La stessa battaglia si ripeté sul fronte del casting. L'idea di avere Marlon Brando nel ruolo di Vito Corleone fu inizialmente respinta con forza. Lo studio lo considerava ingestibile come attore. E forse lo era.
Coppola, con uno stratagemma, convinse l'attore a sottoporsi a un "provino di trucco" che era in realtà l'audizione richiesta dalla Paramount.
Il risultato fu così trasformativo che i dirigenti, non riconoscendolo, diedero il loro benestare. Anche per il ruolo di Michael, Coppola si impuntò per avere Al Pacino, un attore allora semisconosciuto, contro la volontà dello studio che preferiva volti come Robert Redford o Ryan O'Neal.
Tra i tanti che fecero il provino per i ruoli principali c'era anche un giovane Robert De Niro, che si presentò per la parte di Sonny e che, anni dopo, avrebbe vinto un Oscar interpretando il giovane Vito nel secondo capitolo.
Ma è sul set che la visione di Coppola prese vita, spesso in modi inaspettati. Per creare un'autentica alchimia familiare, il regista organizzò delle prove improvvisate in cui il cast principale doveva semplicemente cenare insieme, rimanendo nei panni dei propri personaggi.
Sfruttò anche gli errori: il nervosismo di Lenny Montana, un ex wrestler che interpretava Luca Brasi, di fronte a un gigante come Brando fu incorporato nella sceneggiatura, facendolo apparire come l'agitazione del personaggio di fronte al suo boss.
Alcuni dei momenti più iconici del film nacquero dall'improvvisazione. Il gatto che Vito Corleone accarezza nella scena di apertura era un randagio che Coppola trovò sul set e mise in braccio a Brando.
La celeberrima frase "Leave the gun, take the cannoli" ("Lascia la pistola, prendi i cannoli") fu un'aggiunta di Richard Castellano, suggerita da una scena precedente in cui la moglie gli chiedeva di comprare il dolce.
Questa ricerca di realismo raggiunse il suo apice nella famigerata scena della testa di cavallo nel letto: non era un oggetto di scena, ma una vera testa ottenuta da un'azienda di cibo per cani, un dettaglio macabro che ha contribuito a cementare la leggenda del film.
Il risultato di questo caos creativo fu un successo travolgente.
Tratto da un romanzo di Mario Puzo che era già un bestseller, Il Padrino divenne il film con il maggior incasso del 1972 e, per un breve periodo, il più grande successo di tutti i tempi.
Una vittoria su tutti i fronti per un regista che ha rischiato tutto per la sua arte, trasformando la pressione dello studio e gli imprevisti del set negli ingredienti di un capolavoro senza tempo.