La questione dell’apertura di una Partita IVA dipendenti pubblici non riguarda soltanto aspetti fiscali, ma tocca diritti, doveri e libertà di chi lavora nella pubblica amministrazione.
Le norme che regolano le incompatibilità non sempre sono chiare e spesso si intrecciano con regolamenti interni e interpretazioni differenti.
Su questo fronte, una recente decisione del Consiglio di Stato ha chiarito quando l’apertura di una posizione fiscale individuale sia compatibile con il principio di esclusività del pubblico impiego, confermando limiti e spazi di libertà per il lavoratore.
Scopriamo insieme in quali circostanze è possibile avere una Partita IVA senza violare le regole, cosa prevede la nuova decisione del consiglio, quali attività restano vietate dalla legge e come incidono i principi costituzionali e le tutele internazionali su questo fronte.
Prima di entrare nel merito dell'articolo, vi lasciamo alla visione del video "Dipendente pubblico e Partita IVA - quando è possibile?" del canale Youtube di Carlo Alberto Micheli che illustra in modo chiaro le condizioni e i limiti previsti dalla normativa.
La disciplina delle incompatibilità è definita dall’articolo 60 del D.P.R. 3/1957 e dall’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001.
La legge vieta lo svolgimento di attività commerciali, industriali o professionali che possano creare conflitto con le funzioni pubbliche, salvo specifiche autorizzazioni.
Tuttavia, le stesse norme non includono tra i divieti l’attività agricola su terreni di proprietà, se priva di carattere imprenditoriale. Ciò significa che un dipendente pubblico può avere una Partita IVA collegata a un’attività agricola non professionale, a condizione che:
La differenza tra attività imprenditoriale e attività occasionale o domestica è quindi decisiva per stabilire la legittimità dell’apertura.
Il caso esaminato dal Consiglio di Stato recente (sentenza n. 5854/2025) riguarda un maresciallo della Guardia di Finanza sanzionato per aver aperto, nel 2008, una Partita IVA finalizzata alla coltivazione di ulivi su terreni di famiglia. La sanzione di quattro giorni di consegna si basava su una circolare interna del 2005 che vietava attività extraprofessionali.
Il militare ha dimostrato di aver prodotto olio solo per consumo domestico, chiudendo la Partita IVA nel 2017 e informando il comando due anni prima.
Il TAR Lazio ha annullato la sanzione e il Consiglio di Stato, pur rilevando vizi procedurali nell’appello ministeriale, ha confermato che l’attività agricola non professionale con Partita IVA non integra violazione delle norme di incompatibilità.
La decisione ha sottolineato un principio importante: le circolari interne non hanno forza di legge e non possono ampliare i divieti previsti da norme primarie.
Nel caso specifico, il possesso di una Partita IVA per attività agricola occasionale non era vietato dalla legge, quindi la sanzione disciplinare risultava priva di base normativa.
Tale approccio garantisce coerenza con la gerarchia delle fonti e tutela i lavoratori pubblici da interpretazioni restrittive fondate su atti amministrativi interni. La regola è chiara: le incompatibilità devono essere previste dalla legge, non introdotte da documenti interni.
Il Consiglio di Stato ha richiamato l’articolo 42 della Costituzione, che garantisce il diritto di proprietà, e l’articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela il pacifico godimento dei beni.
Imporre restrizioni alla coltivazione di terreni senza base normativa significa comprimere diritti fondamentali.
La pronuncia afferma che, in assenza di un’attività imprenditoriale vera e propria, il dipendente pubblico può legittimamente possedere una Partita IVA per attività agricola occasionale, nel pieno rispetto delle regole di legge.