Il sipario cala su "Las Muertas", la cupa e sconvolgente miniserie di Luis Estrada, basata su una storia vera e orribile, e lo fa senza concedere alcuna catarsi consolatoria.
Il finale non offre la liberazione di un mistero risolto, ma la cronaca spietata e quasi inevitabile della fine di un incubo.
Basandosi fedelmente sulla storia vera delle sorelle "Poquianchis" e sul romanzo di Jorge Ibargüengoitia, l'epilogo non è un colpo di scena, ma la documentazione di come il male, anche il più abietto, possa essere banale nella sua caduta, lasciando dietro di sé una scia di domande ben più terrificanti delle sue stesse azioni.
L'impero del terrore delle sorelle Serafina e Arcángela Baladro in Las Muertas, non crolla per mano di un eroe o di un'indagine meticolosa, ma grazie al coraggio disperato di una singola vittima.
È questo il primo, potente messaggio del finale: un sistema marcio fino al midollo viene scardinato non dall'interno, ma da un elemento che riesce a sfuggirgli.
Una delle ragazze, sopravvissuta all'inferno dei loro bordelli, trova la forza di denunciare. Il suo racconto è il filo che, una volta tirato, disfa l'intera trama di orrori, omertà e corruzione tessuta per decenni.
Da quel momento, gli eventi precipitano in un abisso di macabra contabilità. Le autorità, per anni complici silenziose, sono costrette ad agire.
Le perquisizioni nelle proprietà delle Baladro svelano un cimitero a cielo aperto: decine di corpi, vittime di un sistema che non contemplava vie d'uscita. Sono le ragazze "difettose", i clienti scomodi, i neonati frutto di violenza.
La scoperta trasforma un'indagine in un caso nazionale, un baratro che inghiotte l'intera comunità.
Il processo che ne consegue non è solo un atto di giustizia, ma un teatro pubblico in cui il Messico è costretto a guardarsi allo specchio.
Le testimonianze delle sopravvissute sono lame affilate che squarciano il velo di ipocrisia, inchiodando le sorelle e i loro complici.
La condanna finale a una lunga pena detentiva non è una vittoria, ma una semplice constatazione: il regno delle Baladro è finito. La loro vita si spegne dietro le sbarre, chiudendo il capitolo più nero, ma non cancellando le macchie che ha lasciato.
Il vero significato del finale di "Las Muertas" non riguarda tanto la punizione delle colpevoli, ma l'impietosa diagnosi di una società malata.
La serie si chiude mostrando che le sorelle Baladro non erano anomalie, ma il sintomo più estremo di un sistema patologico e diffuso.
La loro longevità criminale è stata possibile solo grazie a ingranaggi oliati dalla corruzione. Poliziotti, politici e funzionari locali erano non solo complici, ma clienti e protettori. Il finale non celebra la giustizia, ma ne evidenzia il ritardo colpevole.
Le vittime erano ragazze povere, senza istruzione, senza famiglia. Vittime predestinate, la cui scomparsa non avrebbe destato allarme in una società che le aveva già abbandonate. La loro tragedia è la dimostrazione che la violenza più efferata prospera nell'indifferenza verso gli ultimi.
Infine, la serie smaschera la facciata perbenista di una comunità che condannava il peccato ma ne era la principale fruitrice. I bordelli delle Baladro erano un segreto di Pulcinella, un luogo dove il potere poteva sfogare i suoi istinti più bassi senza conseguenze.
"Las Muertas" si chiude lasciandoci con una verità amara: i mostri sono stati catturati, sì, ma il vero orrore è il terreno fertile di ipocrisia, violenza e corruzione che ha permesso loro di crescere e prosperare per così tanto tempo.