Che Manuela Murgia, 16 anni - trovata senza vita ai piedi del canyon della necropoli di Tuvixeddu, nel Cagliaritano, il 5 febbraio 1995 - non si fosse suicidata, come invece sostenuto dagli inquirenti dell'epoca, i familiari lo hanno sempre pensato. Solo a marzo - dopo lunghe richieste rimaste inascoltate - il caso è stato ufficialmente riaperto con una nuova ipotesi di reato: omicidio volontario. Ora, a distanza di trent'anni, la possibile svolta, con il ritrovamento di alcune tracce di Dna maschile sugli indumenti che la giovane indossava al momento del ritrovamento.
A dare la notizia sono i fratelli di Manuela, che su Facebook gestiscono una pagina dedicata alla memoria della ragazza, seguita con affetto da migliaia di persone. "La giustizia non si ferma, avanza anche nel silenzio", scrivono.
Rendendo appunto noto che nel corso degli accertamenti disposti dal gip Giorgio Altieri lo scorso luglio, gli esperti incaricati di analizzare i circa 80 campioni biologici prelevati dagli abiti conservati per tre decenni all'Istituto di medicina legale di via Porcell - tra cui il super Emiliano Giardina - ne avrebbero rilevati 40 riconducibili a un uomo.
Le tracce - sembra non ancora attribuite a una specifica persona - sarebbero state isolate non solo sui capi esterni che la ragazza indossava, come jeans e giubbotto, ma anche sui suoi indumenti intimi: slip e reggiseno.
Un elemento ritenuto significativo dagli inquirenti. E che - dopo la tipizzazione e la comparazione con profili genetici noti alla polizia scientifica - potrebbe anche diventare decisivo, portando, forse, alla risoluzione del giallo.
In alto, il servizio dell'emittente sarda "Videolina" pubblicato oggi, 12 settembre 2025, dai fratelli di Manuela Murgia sulla pagina Facebook dedicata alla memoria della ragazza, morta in circostanze misteriose a soli 16 anni, nel febbraio 1995 .
La riapertura dell'inchiesta è stata innescata dalla consulenza medico-legale affidata dai legali della famiglia Murgia al professor Roberto Demontis dell'Università di Cagliari. Analizzando il referto autoptico originale, l'esperto ha infatti messo in discussione la ricostruzione iniziale, secondo cui Manuela si sarebbe tolta la vita gettandosi dal canyon, precipitando per 35 metri.
Secondo la nuova analisi, la giovane potrebbe essere morta prima della caduta o della spinta, uccisa, forse, tramite un investimento, dopo essere stata abusata sessualmente. L'unico indagato è l'ex fidanzato di Manuela, Enrico Astero, oggi 54enne, parrucchiere, che - difeso dall'avvocato Marco Fausto Piras - ha sempre respinto ogni accusa.
La mattina del 5 febbraio 1995, poco prima di pranzo, Manuela uscì di casa indossando un paio di jeans sopra i pantaloni del pigiama, come se si aspettasse di rientrare subito. Sul tavolo, lasciò il telefono cordless - segno che lo aveva appena usato - insieme a un rossetto e a una boccetta di profumo.
La sua vicina di casa, sua zia, avrebbe poi riferito di averla vista salire su un'auto blu. Per questo i familiari hanno sempre pensato che avesse un appuntamento. Il giorno seguente, dopo numerose ricerche, il suo corpo fu ritrovato ai piedi del canyon grazie a una telefonata anonima.
Ma Manuela non conosceva quel luogo. Inoltre, la cintura che indossava era stata tagliata di netto e rimessa a posto, mentre le suole delle sue scarpe erano pulite. Sul collo aveva lesioni compatibili con un'azione violenta. E nello stomaco, tracce di una pietanza simile a semolino.
Pietanza che avrebbe potuto consumare solo in una casa. Tutti dettagli che furono tralasciati. Il caso, infatti, fu archiviato subito per suicidio. Sono stati gli sforzi della famiglia a portare agli attuali sviluppi. "Non ci arrenderemo", aveva anticipato una delle sorelle a Tag24. E così è stato. Ora tocca alla giustizia.