Quella che era iniziata come una controversia aziendale, la sospensione "a tempo indeterminato" di Jimmy Kimmel da parte della ABC, si è trasformata in qualcosa di molto più grande e sinistro: un vero e proprio caso politico.
Il presidente Donald Trump ha colto al balzo l'opportunità e ha trasformato la vicenda in un trampolino di lancio per la sua offensiva più esplicita e allarmante contro i media americani.
Le sue recenti dichiarazioni non sono più le solite lamentele contro la "stampa disonesta"; sono una minaccia diretta, un avvertimento che prefigura l'uso del potere governativo per silenziare le voci critiche.
Ma così facendo che fine farebbe il primo emendamento? Vediamo i dettagli.
Parlando con i giornalisti a bordo dell'Air Force One, Trump ha parlato della decisione della ABC e l'ha usata come prova che le reti televisive possono e devono essere punite per la copertura che lui considera negativa.
Lamentandosi di aver ricevuto "una pessima pubblicità" e che "quasi tutti i talk show serali lo attaccano", il Presidente ha dichiarato che, per questo motivo, meritano tutti la revoca della licenza.
Questa non è un'iperbole. È un'indicazione chiara di una strategia che mira a intimidire non solo i comici, ma l'intero ecosistema dell'informazione.
La minaccia diventa ancora più concreta quando Trump identifica il suo potenziale esecutore: il presidente della Federal Communications Commission (FCC), Brendan Carr.
Definendolo una persona "eccezionale", Trump ha di fatto designato il braccio regolatore che intende usare per esercitare pressione.
Qui la situazione si fa tecnicamente complessa e politicamente esplosiva.
Sebbene la FCC non autorizzi direttamente le reti nazionali come ABC, NBC o Fox, la sua autorità si estende alle centinaia di stazioni televisive locali che sono loro affiliate. Queste stazioni dipendono dalle licenze FCC per poter trasmettere.
Minacciare le licenze degli affiliati è un modo indiretto ma potentissimo per colpire le reti al cuore.
Se le stazioni locali temono di perdere la loro licenza a causa dei contenuti trasmessi dalla rete nazionale, eserciteranno un'enorme pressione su quest'ultima per ammorbidire la linea editoriale, evitare argomenti controversi o, come nel caso di Kimmel, rimuovere le personalità più critiche.
Si crea così un "effetto agghiacciante" (chilling effect): anche senza un'azione diretta, la sola minaccia di una ritorsione governativa può indurre all'autocensura, che è la forma più insidiosa di attacco alla libertà di stampa.
Il Primo Emendamento non è un suggerimento; è il fondamento della democrazia americana. Garantisce che la stampa possa operare senza la censura o il timore di rappresaglie da parte del governo.
Quando un presidente in carica minaccia di usare un'agenzia federale per punire le testate giornalistiche a causa della loro copertura, non sta semplicemente esprimendo un'opinione. Sta erodendo attivamente quella barriera protettiva, suggerendo che la lealtà al suo governo sia una condizione per la sopravvivenza editoriale.
La vicenda Kimmel, quindi, non è più una storia che riguarda un monologo controverso. È diventata un test per la resilienza delle istituzioni democratiche americane.
Riguarda la capacità delle grandi corporation mediatiche di resistere alle pressioni politiche e di difendere i propri giornalisti e commentatori. Riguarda il coraggio dei singoli direttori di rete e dei proprietari di stazioni locali di non cedere al ricatto.
Il dibattito non è più su chi abbia ragione o torto nella polarizzazione politica. È sulla difesa di un principio universale: il diritto di esprimere un'opinione, anche quando è sferzante, critica o sgradita a chi detiene il potere, non dovrebbe mai essere messo in discussione.
Soffocare una voce, qualsiasi voce, crea un precedente pericoloso che indebolisce tutti. La vera forza di una nazione non si misura dalla capacità dei suoi leader di mettere a tacere i critici, ma dalla loro volontà di tollerarli. E in questo momento, quella volontà è messa a dura, durissima prova.