Chi non ha mai sentito parlare della guerra di Troia? È una delle storie più antiche e raccontate al mondo: eroi, dei capricciosi, amori proibiti e battaglie infinite. Ma quanti, oggi, ricordano davvero la trama del film "Troy" di Wolfgang Petersen?
Uscito nel 2004, con Brad Pitt nei panni di un Achille scolpito come una statua greca, Orlando Bloom in versione principe innamorato e Diane Kruger come Elena "dai mille volti", "Troy" è diventato in poco tempo un cult del cinema epico moderno.
Un film che ha fatto discutere per le libertà prese rispetto all’Iliade, ma che ha conquistato il pubblico con le sue immagini spettacolari e un cast stellare. E visto che lo ritroviamo in tv, è il momento perfetto per rispolverare trama, location e soprattutto quel finale che lascia ancora tutti con il fiato sospeso.
Girare un film epico significa anche ricreare un mondo che non esiste più. Petersen e la sua troupe hanno portato le telecamere tra Malta, Messico e Inghilterra, scegliendo luoghi che potessero rendere credibile una Troia imponente e immortale.
A Fort Ricasoli, vicino La Valletta, è stata costruita la piazza principale della città, mentre le scene dello sbarco dei Greci sono state girate a Ghajn Tuffieha Bay. Per le spiagge e le immense mura troiane, il set si è spostato a Cabo San Lucas, in Baja California, dove un uragano ha distrutto parte delle scenografie e ha costretto la troupe a ricostruire tutto.
Il famoso cavallo di Troia, invece, ha preso vita negli Shepperton Studios, prima di essere spedito a Malta in sezioni. Una produzione colossale, degna della leggenda che voleva portare sullo schermo.
La trama di "Troy" gioca proprio con gli ingredienti classici del mito, mescolando amore, guerra e destino. Tutto inizia con Paride, il giovane e impulsivo principe troiano interpretato da Orlando Bloom, che si innamora perdutamente di Elena di Sparta (Diane Kruger).
Il problema? Elena è già sposata con Menelao, re di Sparta, che ovviamente non prende bene il furto della moglie. Da lì al conflitto il passo è breve: Menelao chiede al fratello Agamennone di muovere guerra a Troia, e il re greco non si fa pregare due volte, anche perché dietro la vendetta familiare si nasconde il suo desiderio di dominio sul Mar Egeo.
Ed ecco entrare in scena Achille, il guerriero più temuto e ammirato del tempo. Brad Pitt lo interpreta con fisico scultoreo e sguardo glaciale, un eroe che combatte per la gloria personale più che per le bandiere. A Troia, invece, la difesa è affidata ad Ettore (Eric Bana), il principe che incarna onore e coraggio. Due opposti destinati a scontrarsi.
Il film procede tra assedi, battaglie spettacolari e colpi di scena, ma non mancano momenti di intimità: il rapporto tra Achille e Briseide (Rose Byrne), fatto di odio e amore, o quello fraterno tra Ettore e Paride, sempre in bilico tra responsabilità e desiderio. Petersen comprime dieci anni di guerra in un paio di settimane, ma riesce a mantenere viva l’intensità del racconto, alternando duelli mozzafiato a scelte personali che pesano come macigni.
Il cuore del film è il finale: il sacco di Troia, una delle pagine più celebri della mitologia antica. Odisseo propone l’astuto stratagemma del cavallo di legno, che Priamo accetta di portare dentro le mura nonostante i presagi funesti.
Di notte, i soldati greci escono dal ventre della statua e aprono le porte all’esercito nemico. È la fine di una città e di un’epoca.
Il film mostra con ritmo serrato la distruzione: le case in fiamme, i civili ridotti in schiavitù, i palazzi che crollano. In mezzo a questa apocalisse, i destini personali si compiono: Agamennone viene ucciso da Briseide, stanca di essere una pedina di guerra; Priamo cade sotto i colpi del re greco; Paride affida a Enea la spada di Troia, consegnandogli il futuro del suo popolo.
E poi c’è Achille, che riesce a ritrovare Briseide, ma cade sotto le frecce di Paride. Una morte annunciata, che trasforma l’eroe in leggenda. Il funerale che chiude il film suggella la sua immortalità, mentre lo spettatore resta diviso tra l’epica grandiosità delle immagini e l’amarezza per la violenza che accompagna la gloria.
Con "Troy", Petersen non voleva fare una lezione di filologia classica, ma un kolossal pop, spettacolare e drammatico allo stesso tempo. Missione compiuta: a vent’anni dall’uscita, ancora ne parliamo e ancora ci emozioniamo davanti a quelle scene.