Conviene correre ai ripari per accaparrarsi il bonus casa prima che sia troppo tardi? Chi negli ultimi anni ha ristrutturato casa conosce bene questo incentivo fiscale, diventato ormai una costante nelle varie manovre finanziarie. Con la Manovra 2026, però, il quadro potrebbe cambiare e molti si chiedono se il bonus sarà confermato, se la detrazione passerà davvero da dieci a cinque anni e cosa succederà a chi non ha abbastanza imposta da recuperare.
Le domande sono tante e per il momento riguardano soltanto ipotesi sulle misure della nuova legge di bilancio, che aggiorna la cornice fissata dalla Legge n. 234/2022 e dalle successive proroghe.
Non si può dire che il governo italiano non abbia preso in considerazione il bonus casa. Quando si parla di incentivi per la casa, le possibilità sono diverse e comprendono anche la conferma della detrazione al 50%, ma con un recupero più veloce in cinque anni invece che in dieci.
Secondo i migliori esperti questo meccanismo dovrebbe premiare i contribuenti, ma le modalità di applicazione rischiano di trasformarsi in un’ulteriore penalizzazione per chi ha redditi bassi.
Attualmente esiste una detrazione IRPEF pari al 50% delle spese sostenute per la ristrutturazione, fino a un importo massimo di 96.000 euro per ogni unità immobiliare. Le regole in vigore stabiliscono che l’importo venga recuperato in dieci rate annuali di pari importo.
Il vero problema è che, se il bonus casa non venisse prorogato con la Manovra, a partire dal 1° gennaio 2026 l’aliquota scenderebbe al 36% per la prima casa e al 30% per gli altri immobili, come già previsto dalle precedenti leggi di bilancio. È proprio per questo che il governo intende confermare il 50%, come riportato da testate specializzate come Il Sole 24 Ore e ItaliaOggi.
La principale novità riguarda i tempi di recupero, che verrebbero ridotti a cinque anni invece di dieci. In pratica, un contribuente che spende 50.000 euro con detrazione del 50% avrebbe diritto a 25.000 euro.
Con le regole attuali il beneficio fiscale viene recuperato in dieci anni, cioè 2.500 euro all’anno. Se fossero confermati i correttivi al bonus casa, invece, lo stesso contribuente riceverebbe 5.000 euro all’anno per cinque anni.
Se fosse davvero così semplice non ci sarebbero dubbi e la questione sarebbe chiusa. O quasi. Sulla carta sembra un vantaggio, perché la modifica consentirebbe di ottenere più rapidamente lo sconto fiscale. Tuttavia, questa nuova modalità presuppone che il contribuente abbia un’imposta IRPEF sufficiente a coprire la rata più alta. Ed è proprio in questo contesto che emergono le prime criticità.
Chi ha redditi contenuti versa ogni anno poche imposte. Se la rata annuale della detrazione diventa troppo alta, una parte del beneficio resta inutilizzata. La normativa, infatti, non consente né di riportare in avanti le quote non assorbite né di trasformarle in rimborso.
Per questo diversi analisti, tra cui portali come Informazione Fiscale, parlano di un taglio indiretto. L’aliquota resta formalmente al 50%, ma in pratica una parte dei contribuenti potrebbe sfruttarne solo una frazione.
La situazione riguarda soprattutto pensionati con assegni modesti, lavoratori part-time o famiglie monoreddito con scarsa capienza fiscale. In sostanza, chi avrebbe più bisogno di aiuto rischia di vedere ridotto il vantaggio.
Il bonus casa 2026 si trova quindi a un bivio: da una parte c’è la possibilità di confermare la misura in forma più rapida e, dall’altra, quella di lasciarla ridursi ai valori originari. In entrambi i casi, la sostenibilità dei conti pubblici resta una priorità, soprattutto dopo gli impatti del Superbonus.
Per rendere la misura più equa sarà fondamentale introdurre correttivi a tutela dei redditi bassi, ad esempio consentendo di riportare in avanti le quote non utilizzate o introducendo un meccanismo alternativo di rimborso. Senza questi accorgimenti, il bonus rischia di trasformarsi in un privilegio per i redditi medio-alti, perdendo la sua funzione sociale.