Mentre a Gaza continuano a emergere notizie drammatiche su migliaia di morti civili e intere famiglie cancellate dai bombardamenti, la UEFA si prende tempo. Ci pensa, riflette, temporeggia, convoca riunioni su riunioni.
Intanto, l’ombra di un massacro resta sospesa sul pallone europeo come una macchia che nessuna diplomazia sportiva riuscirà mai a cancellare. Israele, al momento, gioca ancora. Israele, al momento, partecipa ancora alle qualificazioni, alle competizioni, all’élite di un calcio che ama definirsi custode dei valori universali.
Il paradosso brucia: la stessa UEFA che nel 2022 – in stretta sinergia con la FIFA – impiegò poche ore per bandire la Russia delle competizioni dopo l’invasione dell’Ucraina, oggi si interroga. Si limita a dichiarazioni prudenti, a “riflessioni collettive”.
Due pesi, due misure, la solita ipocrisia istituzionale. Per Mosca non ci furono margini: fuori subito. Per Tel Aviv, invece, filo spinato di distinguo e cautele diplomatiche, come se le bombe sganciate su un campo profughi abbiano un colore diverso a seconda della bandiera che le accompagna.
Nel febbraio 2022, in meno di una settimana dall’inizio dell’offensiva russa, club e nazionali furono messe alla porta senza diritto di replica. Lo sport non poteva essere neutrale, dissero i vertici UEFA. Ogni gol russo sarebbe stato uno schiaffo alla giustizia, dissero i comunicati ufficiali. Bene.
Ma oggi, di fronte alle immagini di migliaia di bambini avvolti nei teli bianchi degli ospedali di Gaza, la stessa fermezza sembra evaporata. Il diritto alla vita dei palestinesi non vale quanto quello degli ucraini? Le lacrime versate a Kiev meritano più ascolto delle grida che risuonano a Khan Yunis?
La realtà è che il calcio, sotto la corazza della retorica, resta vittima delle logiche geopolitiche. La Russia era l’avversario perfetto, l’aggressore chiaro e isolabile, il nemico utile da sanzionare a colpi di regolamenti sportivi. Israele, invece, è un partner politico, militare ed economico dei Paesi che dominano la UEFA. E così il calcio si piega.
Le dichiarazioni delle ultime ore provenienti da Nyon parlano chiaro: “La situazione in Medio Oriente richiede un’analisi approfondita e non può essere ridotta a decisioni affrettate”. Ma a chi vogliono darla a bere? Non c’è nulla di affrettato quando si guarda in faccia la realtà di un massacro in corso, riconosciuto da organizzazioni internazionali indipendenti, denunciato da Ong e dalle stesse Nazioni Unite.
Dire che Gaza è “complessa” equivale a dire che un bombardamento su un ospedale dipende dalle sfumature interpretative. È la strategia della dilazione: trasformare il tempo in complicità. Perché ogni giorno che passa senza una decisione, Israele continua a calciare palloni nei tornei UEFA come se fosse un Paese “normale”.
La contraddizione UEFA-FIFA non è solo questione sportiva. È il riflesso di un’Europa e di un’alleanza atlantica che pesano le vite con bilance diverse. Si reagisce con indignazione selettiva, si applicano sanzioni a geometria variabile, si predica la neutralità dello sport salvo usarlo come un’arma di pressione politica quando conviene.
Il messaggio è devastante: lo sport è valoriale solo se serve agli interessi occidentali. Se un Paese “sbagliato” invade, si punisce. Se un Paese “amico” massacra, si riflette. E mentre i comunicati della UEFA celebrano il “fair play” e la “tolleranza zero contro ogni forma di discriminazione”, le bombe che cadono su Gaza sono una discriminazione fatta carne, sangue, polvere di corpi sotto le macerie.
Il calcio europeo, in questo clima, rischia di perdere ogni residua credibilità. Le curve lo sanno, i tifosi lo sanno, i giocatori lo sanno. Quanto tempo ancora prima che gli stadi si trasformino in teatri di contestazione con striscioni, cori, boicottaggi spontanei contro la farsa dei vertici UEFA? Quanto tempo prima che i calciatori stessi si rifiutino di scendere in campo contro squadre che rappresentano uno Stato accusato di crimini di guerra? Il pallone, che si illude di rimanere fuori dalla politica, è già immerso fino al collo. E il caso Israele-Gaza lo dimostra più di ogni altro.