Il finale della prima stagione di Wayward, il nuovo thriller psicologico di Netflix, fa esattamente questo. Non offre risposte facili né chiusure rassicuranti.
Al contrario, ci spinge in un abisso di ambiguità, costringendoci a interrogarci sulla natura del trauma, del controllo e sulla sottile, terrificante linea che separa la salvezza dalla prigionia autoimposta.
Cosa significa la scena finale? Alex resta o va via con il bambino? E Laura? Diventa la nuova leader? Scopriamo i dettagli, ma attenzione! Spoiler!
Ambientato in una cittadina apparentemente tranquilla che nasconde i segreti di una "scuola terapeutica" simile a una setta, Wayward intreccia le storie di adolescenti intrappolate e di adulti in fuga dal proprio passato.
Al centro di tutto c'è la Tall Pines Academy, dominata dalla figura enigmatica e agghiacciante di Evelyn Wade (una magistrale e superlativa Toni Collette), e l'ex poliziotto Alex (Mae Martin), che si trasferisce in città con la sua compagna incinta, Laura (Sarah Gadon), sperando di lasciarsi alle spalle i propri demoni.
Ma a Wayward, i demoni non vengono esorcizzati; vengono accolti e messi a sistema.
Cosa succede a Evelyn? Per tutta la stagione, il suo controllo sulla comunità è stato assoluto, basato su un rituale psichedelico chiamato "il Salto", un metodo per "liberare" gli adolescenti dai traumi familiari.
Ma nel finale, il suo stesso impero le si rivolta contro. Tradita dal suo braccio destro e drogata con il suo stesso cocktail allucinogeno, Evelyn è costretta a compiere il suo ultimo, definitivo Salto.
La vediamo camminare attraverso una versione surreale della sua stessa bocca, persa in un corridoio di infinite porte verdi, il simbolo della sua stessa, perversa ideologia.
La serie lascia volutamente ambiguo il suo destino fisico. Non sappiamo se muore oppure no. Non vediamo un corpo, ma assistiamo alla sua disintegrazione psicologica.
La sua fine non è una morte, ma una condanna poetica: rimanere intrappolata per sempre nel labirinto che ha costruito per gli altri. Ma la sua caduta non significa la fine della setta. Significa solo che il trono è vuoto e sta per essere riempito da un'altra regina.
Forse il momento più straziante del finale è la decisione di Leila. Dopo un'intera stagione in cui abbiamo tifato per la sua fuga al fianco dell'amica Abbie, all'ultimo momento, sceglie di restare.
La sua non è una resa, ma la tragica apoteosi di un lavaggio del cervello riuscito. Evelyn ha sfruttato le sue insicurezze e il suo senso di abbandono, manipolandola fino a farle credere di aver trovato a Tall Pines l'unica famiglia e l'unico senso di appartenenza che abbia mai conosciuto.
Mentre Abbie, l'unica a fuggire veramente, rappresenta la speranza e la resilienza, Leila incarna la verità più spaventosa della serie: a volte, la gabbia più sicura è quella che scegliamo per noi stessi.
Il vuoto di potere lasciato da Evelyn viene colmato quasi istantaneamente. Mentre Alex è intrappolato nel caos, Laura partorisce. Il rituale che segue la nascita è profondamente inquietante e disturbante per noi spettatori: il neonato viene passato di mano in mano tra i membri della comunità che si sono denudati, in un atto che simboleggia non la gioia, ma l'appartenenza del bambino al gruppo, non ai genitori.
Laura, che scopriamo essere stata una delle prime "laureate" di successo di Evelyn, non ha bisogno di droghe o manipolazioni esplicite. Ha interiorizzato l'ideologia.
Rappresenta un'evoluzione della setta: più sottile, più seducente, basata su un senso di comunità apparentemente benevolo.
L'orrore sul volto di Alex, mentre osserva suo figlio essere assorbito da questo rituale, è palpabile. La minaccia non è morta con Evelyn; si è semplicemente trasformata.
E arriviamo al fulcro della stagione: Alex è davvero scappato? La risposta, quasi certamente, è no.
La sequenza in cui lo vediamo afferrare il bambino e fuggire in macchina con Abbie è carica di un'emozione quasi onirica.
È una fantasia, un'allucinazione, l'ultimo barlume dell'uomo che pensava di poter essere. In questo sogno, riceve l'assoluzione che brama: "Sei una brava persona".
Ma poi, la realtà lo riporta indietro. È ancora lì, nella casa, con il bambino in braccio, circondato da una comunità che lo accetta. Non riesce ad abbandonare quella vita e quell'amore, se pur tossici.
Alex è un uomo con un passato violento, un uomo che ha ucciso per difendersi. Fuori da Wayward, è un emarginato. Dentro, la sua violenza viene non solo perdonata, ma accettata come parte del sistema.
La città gli offre ciò che il mondo esterno non può dargli: una famiglia istantanea, uno scopo e, soprattutto, un luogo dove i suoi peccati possono essere nascosti.
La sua fuga, quindi, è stata solo mentale. Ha scelto la comodità di una comunità che lo protegge in cambio della sua libertà. Ha chiuso la porta non solo al mondo esterno, ma anche alla possibilità di essere l'eroe che aveva sognato di essere.