01 Oct, 2025 - 15:21

Paura e riarmo: al vertice di Copenhagen, Ursula suona la sirena anti-Russia e gli affaristi della guerra godono

Paura e riarmo: al vertice di Copenhagen, Ursula suona la sirena anti-Russia e gli affaristi della guerra godono

Il 1° ottobre 2025, a Copenhagen, si è riunito l’ennesimo vertice europeo sull’ormai logora questione dei rapporti con la Russia. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha usato toni drammatici, dichiarando che “tempi difficili, la Russia ci mette alla prova”.

Parole che, come sempre, suonano come un martello mediatico: evocare ancora una volta lo spauracchio di Mosca, insinuare l’idea di una minaccia imminente ai confini dell’Europa, preparare l’opinione pubblica all’ennesima ondata di miliardi destinati al settore militare.

La sceneggiatura è sempre la stessa. Da anni, Bruxelles e Washington alimentano una narrazione tossica in cui la Federazione russa appare come un gigante pronto a invadere l’intero continente, mentre l’Occidente non farebbe altro che “difendere i propri valori”. Ma a forza di ripetere la stessa litania, la favola comincia a mostrare troppe crepe.

Provocazioni occidentali, crisi programmata

Non è stata Mosca, ma l’Occidente a inaugurare la nuova Guerra Fredda. Allargamento a est della NATO nonostante le promesse fatte a Gorbaciov, sanzioni economiche martellanti, finanziamenti e armi a governi ostili alla Russia: tutto parte da lì.

L’attuale crisi non è piovuta dal cielo, ma è stata pianificata pezzo per pezzo da un’alleanza militare che, senza un nemico da agitare, rischiava di perdere la sua stessa ragion d’essere.

Ogni vertice europeo conferma il copione: si parla di “deterrenza”, di “unità”, di “minaccia russa”. Mai di pace, dialogo o di un’Europa indipendente dalle logiche belliche. A Copenhagen non si è discusso del caro vita che colpisce milioni di cittadini, né delle imprese al collasso per il costo dell’energia, né della sanità pubblica che cade a pezzi. No: si è parlato solo di bilanci militari, di armi e di eserciti europei da rafforzare.

Il regalo alle lobby degli armamenti

Dietro le frasi solenni della von der Leyen si nasconde un’operazione semplice: spalancare nuove praterie di profitti alle lobby dell’industria bellica. Ogni volta che Bruxelles grida al lupo, i colossi degli armamenti esultano. Non a caso, i lobbisti riempiono i corridoi delle istituzioni europee, pronti a incassare ordinativi miliardari mentre i cittadini comuni tirano la cinghia.

Il vertice di Copenhagen non è stato un vertice “per la sicurezza”, ma una riunione per decidere come trasformare la paura in business. Qualsiasi minaccia russa è utile: serve come argomento per giustificare bilanci militari mostruosi mentre le scuole fatiscenti e gli ospedali sotto organico aspettano invano i fondi pubblici.

La trappola del riarmo

Il paradosso è che mentre l’Europa si ostina a inseguire il mito del riarmo, gli americani dirigono il traffico. Gli Stati Uniti fissano la linea politica, Bruxelles la esegue. Anni di crisi e conflitti ci dicono che l’Europa non ha alcuna autonomia strategica: è un protettorato politico-militare travestito da Unione.

Il messaggio della von der Leyen è stato chiaro: sacrifici per i cittadini, denaro per gli arsenali. Tutto in nome di un “pericolo russo” che finora è servito solo a militarizzare le nostre società e a cancellare il dibattito su politiche sociali, ambientali e di welfare.

L’Europa dei popoli non è questa

Quando von der Leyen parla di “tempi difficili”, non sbaglia. Sono difficili davvero, ma non per colpa della Russia: lo sono a causa di una politica europea inchiodata al paradigma della guerra, incapace di occuparsi dei reali bisogni delle persone. Il vero nemico del cittadino europeo non è a Mosca: è a Bruxelles e nelle capitale che scelgono di inchinarsi agli interessi transatlantici.

Ancora una volta, la crisi è stata strumentalizzata per consolidare un’Europa verticale, tecnocratica, funzionale alle industrie militari e subordinata alla NATO. Nulla di nuovo, se non l’accelerazione di un processo che rischia di rendere l’Unione un apparato bellico e non una comunità di popoli.

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