Il silenzio, dopo una tempesta di lame e sangue, è spesso più assordante del clangore della battaglia. È in questo silenzio carico di tensione che si chiude Mantis, l'ultimo, spietato thriller d'azione coreano approdato su Netflix e già in classifica.
Il film ci lascia con una domanda importante: chi ha vinto veramente e che è successo a Lee Han-ul?
La risposta, come la morale nel mondo dei sicari professionisti, è tutt'altro che semplice. Il finale non è solo la conclusione di uno scontro fisico, ma il culmine di una tragedia personale, un dramma di lealtà tradite, ambizioni frustrate e un amore impossibile destinato a corrodersi dall'interno.
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Per comprendere appieno la portata del finale, è necessario fare un passo indietro e analizzare le fondamenta del rapporto tra i due protagonisti, Lee Han-ul (Im Si-wan), il leggendario assassino conosciuto come Mantis, e Shin Jae-yi (Park Gyu-young), la sua amica d'infanzia, partner e, in un certo senso, la sua ombra perenne.
La morte di Cha Min-kyu, figura di spicco della MK Entertainment, crea un vuoto di potere che scuote dalle fondamenta il mondo criminale. Han-ul, rientrato in scena, si trova al centro di un vortice di offerte e alleanze, ma la sua scelta ricade sulla persona di cui si fida di più: Jae-yi.
La loro unione, battezzata "Mantis Company", sembra l'inizio di una nuova era, un sodalizio perfetto tra talento e fiducia.
Tuttavia, il loro legame è costruito su una frattura antica e mai sanata. Entrambi cresciuti e addestrati sotto l'ala della MK Entertainment, solo Han-ul fu scelto per diventare un sicario d'élite.
Quel rifiuto ha marchiato a fuoco l'anima di Jae-yi, instillando in lei un complesso di inferiorità e un desiderio di rivalsa che, come un fiume carsico, scorreva silenziosamente sotto la superficie della loro amicizia. La loro collaborazione, anziché guarire quella vecchia ferita, finisce per infettarla.
Ogni successo di Han-ul è un promemoria del suo fallimento passato. È questa insicurezza, unita a un'ambizione divorante, a spingerla verso la decisione più drastica: abbandonare Han-ul per unirsi a Benjamin Jo, l'ambizioso CEO di una società rivale, la Meta Software. È una dichiarazione di indipendenza, ma anche un atto di tradimento che mette in moto la spirale di eventi che porterà al confronto finale.
Lo scontro a tre che definisce il climax del film è un capolavoro di strategia e sacrificio. Quando Jae-yi, in un gesto di sfida, provoca Dok-jo, il nuovo capo della MK Entertainment ed ex mentore di Han-ul, non immagina la ragnatela che sta tessendo.
Dok-jo, accettando, rilancia la sfida a Han-ul. La posta in gioco è un doppio duello mortale. È qui che Han-ul compie la sua mossa più importante, un gesto che trascende la semplice protezione. Inviando a sua volta il coltello a Jae-yi, non la sta semplicemente sfidando: sta forzando un inevitabile scontro a tre.
È un calcolo strategico freddo e disperato. Han-ul sa di essere l'unico in grado di reggere l'urto della furia di Dok-jo e, allo stesso tempo, sa che Jae-yi, da sola, verrebbe probabilmente uccisa. Trasformando il duello in una mischia, si posiziona deliberatamente come scudo e catalizzatore, pronto ad assorbire i colpi più duri per creare l'unica, fatale apertura per lei.
La battaglia è un balletto brutale, una coreografia di violenza in cui ogni fendente porta con sé il peso di anni di storia non risolta. Han-ul, pur riportando ferite gravissime, riesce nel suo intento: indebolisce Dok-jo fino a renderlo vulnerabile.
In un lampo di pietà o forse di rispetto per l'uomo che un tempo era la sua guida, gli offre una via d'uscita onorevole. Ma Jae-yi non concede tregua. Il suo colpo, secco e definitivo, non è solo l'uccisione di un nemico; è la rivendicazione della sua vittoria. Rifiuta di vincere grazie al sacrificio di Han-ul; deve essere lei a sferrare il colpo di grazia.
Alla domanda di Han-ul sul perché lo abbia fatto, Jae-yi risponde con il silenzio. Un silenzio che è una confessione. Ha scelto il potere, la vittoria a ogni costo. Il complimento finale di Han-ul, "sei stata brava", è carico di una tristezza infinita. È il riconoscimento del suo talento, ma anche l'addio alla donna che pensava di conoscere.
La scena finale ribalta completamente la percezione della vittoria. Vediamo Benjamin Jo nella sua auto, sereno e ignaro, mentre una figura si avvicina per eliminarlo: è Han-ul.
Ma non agisce di sua iniziativa. È stato inviato da Jae-yi. In quel momento, capiamo tutto. Jae-yi non ha solo vinto lo scontro; ha ereditato il regno. Ha eliminato i suoi rivali, Dok-jo e Benjamin, usando Han-ul come sua arma definitiva.
Sopravvive fisicamente, ma muore spiritualmente. Il più grande assassino del mondo è diventato lo strumento della donna che ha cercato di proteggere, un burattino nelle mani dell'ambizione che li ha divisi per sempre. La sua libertà è perduta, e la sua lealtà è diventata la sua prigione.