Addio a termini come “veggie burger” o “salsiccia di soia”: il Parlamento europeo ha approvato un emendamento che vieta l’uso di parole tradizionalmente associate alla carne – come “burger”, “salsiccia”, ma anche “latte” o “albume” – per identificare prodotti di origine vegetale.
La misura rientra nella revisione del regolamento Ocm (Organizzazione comuni mercati) e, per diventare operativa, richiederà un accordo tra gli Stati membri.
La decisione è destinata a suscitare dibattito: da un lato, i promotori della norma sottolineano la necessità di garantire il consumatore con terminologie chiare; dall’altro, il mondo animalista e i produttori di alternative plant-based temono che il divieto possa ostacolare la promozione delle diete vegane.
Approvato oggi a Strasburgo, l’emendamento della relatrice del PPE Céline Imart - che vieta l’uso di diciture legate alla carne per i prodotti di origine vegetale - aveva già ottenuto il via libera della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo. Nella scorsa legislatura, invece, la misura era stata bocciata.
L’obiettivo dichiarato del divieto è garantire trasparenza commerciale e una corretta informazione per i consumatori, che potrebbero essere confusi da terminologie equivalenti. Inoltre, la norma si basa sul principio di una difesa ‘identitaria’ della terminologia riferita alla carne; secondo questa impostazione, i termini 'tradizionali' non dovrebbero essere utilizzati per prodotti vegetali.
A questa tesi si oppongono i sostenitori delle diete vegane, che ritengono invece fondamentale l’uso di termini familiari legati alla tradizionale dieta onnivora. Secondo questi, le denominazioni equivalenti a quelle dei prodotti animali aiutano chi vuole ridurre il consumo di carne o latticini, permettendo di identificare immediatamente le alternative disponibili e la funzione del prodotto, favorendo al contempo la crescita del mercato plant-based.
A sollevarsi immediatamente contro il voto del Parlamento europeo è stata l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle, Valentina Palmisano.
Secondo l’onorevole, il voto di Strasburgo contro termini come veggie burger “alimenta l’ennesima e paradossale caccia alle streghe contro l’uso e il consumo di proteine vegetali”.
“I consumatori non sono stupidi e sanno cosa comprano quando vanno a fare la spesa”, spiega Palmisano, evidenziando il danno che la limitazione arrecherà a “un mercato in continua crescita”, che utilizza peraltro “legumi e verdure prodotti dai nostri agricoltori”.
Un doppio danno, spiega Palmisano, se si considera poi che “i veri problemi dell’agricoltura sono altri: il Mercosur, i dazi di Trump, i tagli alla Pac. La destra ci parli di questo, altrimenti alimenta solo fumo negli occhi dei cittadini”.
La decisione dell’Europarlamento di oggi può, peraltro, avere delle ripercussioni negative anche sulla salute dei cittadini europei. A spiegarlo a Tag24.it è proprio l’onorevole Palmisano:
“Mettere dei paletti al mercato e allo sviluppo degli alimenti di origine vegetale può avere delle ripercussioni negative anche sulla salute umana.
Ben 48 studi scientifici pubblicati tra il 2000 e il 2023 hanno confermato che le diete vegetali riducono il rischio di malattie cardiovascolari e tumori, migliorano il controllo glicemico e promuovono un peso corporeo sano. In particolare, il rischio di cancro al colon-retto si riduce dell’8–15% rispetto alle diete onnivore.
Quindi dovremmo focalizzarci sui benefici del settore, anziché mettergli i bastoni fra le ruote con definizioni che confondono il consumatore”