La narrativa ufficiale dipinge il Presidente Donald Trump come il nuovo pacificatore del mondo, l’uomo che – dopo aver fermato il massacro a Gaza – sarebbe pronto a imporre la pace anche in Ucraina.
Ma dietro questa retorica da premio Nobel c’è una realtà ben più cinica: Trump non ha alcun reale interesse a fermare la guerra tra Kiev e Mosca, almeno non finché continua a garantire enormi flussi di denaro e potere agli Stati Uniti e alla sua amministrazione.
Dopo quasi quattro anni di guerra, l’Ucraina è a pezzi, l’Europa è in ginocchio economicamente, e gli Stati Uniti – per paradosso – non sono mai stati così forti.
Mentre in Europa si invocano “sforzi comuni per la Difesa”, a Washington si contano miliardi di dollari provenienti dalle commesse militari.
L’industria bellica americana, sostenuta da Trump, vive una nuova età dell’oro: Lockheed Martin, Raytheon, Northrop Grumman e compagnia producono a pieno ritmo per soddisfare la crescente domanda di armi dei “paesi alleati”.
Non è un caso se gli Stati europei, spinti dalla NATO e dalla retorica del “pericolo russo”, hanno aumentato massicciamente la spesa militare.
L’Italia, la Germania, la Polonia e la Francia – un tempo riluttanti a investire nel riarmo – oggi sono tra i migliori clienti dei colossi statunitensi.
Ogni missile o blindato venduto all’Europa rappresenta un gettone di potere per Trump, che ha trasformato la guerra in un business di Stato, mascherato da missione di difesa della democrazia occidentale.
La strategia trumpiana è semplice e brutale: trasformare gli alleati in clienti e la NATO in un mercato.
Da Presidente pragmatico e uomo d’affari, Trump ha capito che non serve la guerra totale per vincere: basta mantenerla viva, controllata e redditizia.
Il “nemico russo” non è solo un avversario geopolitico; è una risorsa narrativa. Finché Putin rimane la grande minaccia, l’Europa accetterà senza fiatare di aprire i portafogli, aumentare le spese per la difesa e finanziare le industrie americane.
I leader europei, ancora prigionieri dell’ideologia atlantista, fingono di non accorgersi del ricatto economico mascherato da alleanza.
Ogni conferenza NATO diventa un’occasione per Washington di presentare il conto: più armi, più basi, più sottomissione.
Le cancellerie europee pagano, sperando ingenuamente che gli Stati Uniti le “proteggano” da Mosca. In realtà, stanno finanziando la macchina bellica americana e saccheggiando il proprio futuro.
Trump, come ogni stratega che si rispetti, sa che un conflitto non può durare in eterno. Sa anche che un giorno dovrà presentarsi al mondo come il salvatore, il grande mediatore capace di spegnere l’incendio che lui stesso ha alimentato.
È successo a Gaza, dove – dopo anni di guerra alimentata dagli stessi USA – Trump ha imposto una tregua di comodo, presentandola come un successo diplomatico personale del Presidente. È lo stesso copione che, con ogni probabilità, verrà recitato in Ucraina.
Quando l’Europa avrà svuotato le casse, quando le economie saranno dissanguate dall’austerità e dai bilanci militari, allora Trump potrà calarsi nel ruolo dell’uomo di pace.
Proporrà un accordo negoziato tra Mosca e Kiev, ottenendo l’applauso delle masse e l’ennesimo dividendo politico.
Ma a quel punto l’America avrà già incassato ciò che voleva: miliardi in vendite di armamenti, controllo strategico del continente e un’Europa ridotta a colonia economica, incapace di decidere una propria politica estera.
L’immagine di Trump come “uomo forte che vuole la pace” serve a coprire una verità imbarazzante: Washington ha bisogno delle guerre per restare al centro del mondo.
L’Ucraina è solo l’ennesimo capitolo del romanzo imperiale americano, un laboratorio di potere dove le vite umane contano meno dei bilanci delle aziende.
E mentre gli europei pagano e applaudono, gli Stati Uniti accumulano profitti e influenza, aspettando di mettere la ciliegina sulla torta: la pace “made in Trump”.
Quando quel giorno arriverà, ci sarà chi lo acclamerà come un genio diplomatico. Ma la storia – se ancora esisterà qualcuno disposto a scriverla – racconterà un’altra verità: quella di un Presidente che, in nome del profitto, ha tenuto viva una guerra per poi prendersi il merito di averla chiusa, con le tasche – e i forzieri dell’America – colmi fino all’ultimo dollaro.