La notte tra domenica 19 e lunedì 20 a Rieti ha segnato una svolta drammatica: il secondo autista del pullman dei tifosi della Pistoia Basket 2000, Raffaele Marianella di 65 anni, è stato ucciso in un attacco a sassate mentre rientrava con il bus. Tutto era iniziato come una trasferta sportiva normale: partita disputata, tifosi in viaggio verso casa. Ma all’improvviso il pullman è stato assalito e un oggetto (indicativamente un mattone) ha sfondato il parabrezza, colpendo Marianella. La procura di Rieti ha aperto un fascicolo per omicidio volontario: tre ultras della Real Sebastiani Rieti sono stati fermati con l’accusa di aver partecipato alla spedizione punitiva.
Le prime indagini svelano scenari agghiaccianti: secondo quanto ricostruito, l’attacco non sarebbe stato un atto improvvisato ma pianificato. Nelle chat dei gruppi di tifosi sarebbero infatti emersi termini come “spedizione” e “punizione” proprio nei confronti del pullman del Pistoia.
Le forze dell’ordine hanno identificato dodici persone: tre sono stati fermati e contro di loro sono emersi «gravi indizi di colpevolezza».
Una partita di basket, un ritorno in pullman, tutto normale. Ma la cronaca mette in evidenza come l’amore per lo sport possa essere travolto in un attimo da violenza gratuita. L’autista è divenuto vittima di una “spedizione” in piena violazione dei valori di rispetto e civile convivenza.
La tragedia apre interrogativi: Qual è il confine tra passione sportiva e fanatismo che degenera in violenza? Come può la comunità, gli organizzatori sportivi e le istituzioni evitare che una trasferta diventi un evento pericoloso? Quale ruolo giocano le chat, i social e le dinamiche di gruppo nell’innescare azioni collettive di aggressione?
La regione e le forze dell’ordine sono sotto pressione: Rieti e provincia ora devono fare i conti con il fatto che un atto di violenza ha tolto la vita a un uomo che svolgeva semplicemente il suo lavoro. Il pullman e quel tragico viaggio diventano simboli di un’urgenza più ampia: contrastare la degenerazione della tifoseria in violenza urbana.
In attesa che il processo faccia chiarezza, rimane la ferita aperta nella comunità: lo sport come occasione di aggregazione — e non di scontro — deve tornare ad essere priorità. Il ricordo di Raffaele Marianella, vittima di un gesto inqualificabile, impone una riflessione seria sul modo in cui trattiamo la partita, il tifo, la mobilità e la convivenza civile.
A cura di Virginia Mattei