Alle 18:05 del 31 ottobre 2025, l’Europa tira un sospiro di sollievo: il partito liberale-progressista D66 guidato da Rob Jetten ha conquistato la vittoria alle elezioni nei Paesi Bassi, fermando le ambizioni di Geert Wilders e della sua estrema destra di governare in solitaria e portare avanti un’agenda profondamente anti-immigrazione e euroscettica.
Con una campagna centrata su tematiche europeiste, economiche e ambientali, Jetten incarna la continuità con le politiche di Bruxelles e garantisce stabilità.
I risultati elettorali hanno visto il D66 compiere un vero exploit: passando da 9 a 26 seggi parlamentari, il partito ha superato l’ultradestra del Partito della Libertà (PVV) di Wilders, che nonostante l’iniziale vantaggio nei sondaggi non è riuscita a tradurre il consenso nella possibilità di governare senza alleanze.
Il vantaggio finale, superiore a 15.000 voti, ha reso impossibile il sorpasso da parte del PVV, lasciandolo di fatto fuori dall’esecutivo. Nel frattempo, la formazione di un governo richiederà una coalizione ampia che esclude i sovranisti, complice il rifiuto degli altri partiti di sostenere Wilders, visto come figura divisiva e radicale.
Il leader del D66, Rob Jetten, trentottenne, già Ministro per il clima e l’energia, rappresenta una nuova generazione politica e potrebbe diventare il primo premier olandese dichiaratamente gay, simbolo di un Paese aperto e europeista. La sua campagna ha focalizzato l’attenzione su crisi abitative, economia digitale e transizione verde, temi particolarmente valorizzati dagli elettori urbani e progressisti.
Il sogno di Wilders di governare senza compromessi si è infranto contro il muro delle larghe intese e della convergenza moderata. Nonostante il buon risultato elettorale, il PVV non ha trovato partner per formare una maggioranza e attuare i propri piani anti-immigrazione e di rottura con l’Unione Europea.
La sua campagna, incentrata su slogan nazionalisti e restrittivi sull’accoglienza, era considerata un rischio sistemico dai vertici di Bruxelles, che temevano l’apertura di nuove crisi di governance, simili a quelle innescate dalla destra in Ungheria e Polonia.
L’UE, e in particolare Ursula von der Leyen e la Commissione, hanno accolto la vittoria di D66 con entusiasmo. La presenza di Jetten all’Aja significa per Bruxelles un interlocutore affidabile, pronto ad allinearsi alle direttive europee su clima, migrazione e stato di diritto, in controtendenza rispetto al possibile strappo che un governo guidato da Wilders avrebbe potuto implementare, nonché una garanzia di continuità nell’impegno olandese sul fronte europeo.
La strada per la formazione del governo appare comunque complessa. Saranno necessarie trattative tra almeno quattro o cinque partiti per stabilire una coalizione credibile e capace di governare.
Il premier uscente, Dick Schoof, non prevede un accordo prima di Natale, sintomo delle tensioni che accompagnano il processo di ricomposizione tra anime centriste e sinistra ecologista.
Nel frattempo, il Paese conferma la propria linea europeista e il ruolo centrale nel progetto comunitario, respingendo la deriva nazionalista e chiudendo la porta – almeno per ora – a una stagione di rottura che avrebbe messo a dura prova la coesione dell’Unione.
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