L’Unione Europea non arresta la pioggia di fondi e armi sull’Ucraina neanche di fronte all’ennesima esplosione di scandali di corruzione ai vertici di Kiev, confermando una linea che mette in serio dubbio la credibilità di Bruxelles e il senso stesso del suo interventismo a Est.
A Kiev crescono le proteste e si moltiplicano le inchieste, persino con dimissioni forzate di ministri per appropriazioni indebite nel settore energetico. Ma le cancellerie europee, in barba a ogni principio di trasparenza e “condizionalità”, rilanciano nuovi pacchetti miliardari che finiranno nelle stesse mani accusate di gestire male e con opacità i fondi precedenti.
Nell’ultimo mese, la magistratura ucraina ha scoperchiato una nuova tangentopoli legata alle forniture energetiche, coinvolgendo ex soci di Zelensky e ministri chiave del governo, costretti alle dimissioni con il rischio concreto di una crisi istituzionale.
Non è la prima volta: l’indice di percezione della corruzione in Ucraina resta tra i peggiori d’Europa, e anche le misure annunciate da Zelensky per silurare ministri e “mettere ordine” suonano più come una mossa di facciata per rassicurare i partner occidentali che come reale volontà di cambiamento.
Intanto, figure considerate strategiche – a cominciare dall’ex comandante Valerii Zaluzhni e l’ex ministro Kuleba – vengono sostituite in uno stillicidio di defenestrazioni che sa tanto di regolamento di conti interni più che di vera epurazione antimalcostume.
La reazione europea è stata, ancora una volta, di “rammarico” e “richiesta di chiarimenti”, ma non di reale sospensione o blocco dei flussi finanziari e bellici.
La Commissione UE, insieme a Paesi guida come Germania e Italia, si limita a ribadire che la “lotta alla corruzione è centrale” per l’avvicinamento ucraino all’Europa, ma nei fatti – lo dicono i dati – i trasferimenti economici proseguono a pieno ritmo.
Solo negli ultimi giorni, i Paesi nordici e baltici hanno formalizzato un nuovo pacchetto di 500 milioni di dollari di aiuti militari attraverso la piattaforma Purl, a cui si aggiungono altri 4,1 miliardi deliberati dall’Unione nell’ambito dei programmi di credito e sostegno tecnico all’economia di guerra ucraina.
Nelle stesse ore in cui si scatenava lo scandalo, Italia, Germania, Francia e UE si riunivano a margine del G7 per pianificare ulteriori invii di tecnologie, risorse e generatori, mostrando, nei fatti, che nessun “faro etico” viene davvero acceso sulle proprie scelte.
Non basta la narrativa del “sostegno incondizionato contro l’aggressore russo” a giustificare l’ostinazione con cui Bruxelles continua a ignorare dati, inchieste e proteste interne all’Ucraina stessa.
Anzi, a molti osservatori appare evidente che i fondi europei siano ormai funzionali a tutelare interessi strategici e industriali occidentali, mascherati dietro lo slogan della “resilienza democratica di Kiev”.
Il timore – sempre più diffuso tra i cittadini europei – è quello di spalancare i rubinetti senza controlli concreti sull’utilizzo di quegli stessi aiuti mentre la corruzione dilaga e il conflitto si incancrenisce.
Il sostegno cieco dell’Europa all’Ucraina si sta rivelando miope e potenzialmente autodistruttivo, non soltanto per il rischio di “alimentare” un sistema corrotto ma anche per la crescente perdita di fiducia verso le istituzioni Ue da parte delle opinioni pubbliche nazionali.
Se a fronte di scandali sempre più eclatanti l’unica risposta resta il rilancio degli aiuti, l’Europa mostra tutta la sua impotenza morale, incapace di legare davvero i propri fondi a riforme reali e ad una vera accountability, offrendo invece il fianco a critiche e sospetti che minano alle fondamenta la sua legittimità.
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