L'Europa segue con grande attenzione lo scenario tra Serbia e Kosovo, dopo che ieri il presidente serbo Aleksandr Vulic aveva pronunciato parole tutt'altro che rassicuranti.
Tutto nasce da un discorso televisivo in cui il presidente della Serbia Aleksandr Vulic mostra una cartina del Kosovo con sopra la bandiera serba: Belgrado infatti non riconosce l'indipendenza della regione. Alla base c'è l'entrata in vigore dal primo agosto dell'obbligo di doppio passaporto serbo-kosovaro e della targa kosovara per tutti i cittadini residenti all'interno del Kosovo: si tratta di norme già stabilite dagli accordi tra le parti a Bruxelles nel 2013.
In breve, viene applicato il principio di reciprocità delle regole sui documenti d’identità e sulle targhe automobilistiche. Da oggi le automobili in territorio kosovaro con targa serba (Srb) devono essere re-immatricolate con la targa di Pristina (Krs). Una situazione che si scontra con la volontà della minoranza serba presente in Kosovo: il 65% è contrario alle nuove imposizioni e nella serata di ieri ha cercato di oltrepassare il confine per evitare possibili disagi. Le autorità di Pristina hanno dunque deciso di chiudere due varchi innescando la miccia che rischia ancora di esplodere.
Ma c'è molto di più in ballo, ossia un nuovo scenario di contrapposizione tra il blocco atlantico e quello sovietico come avvenuto in Ucraina: da un lato Belgrado, di fatto unico partner rimasto alla Russia, dall'altro il Kosovo che è spalleggiato da Nato e Usa. Proprio l'intervento di Washington si è rivelato decisivo per evitare che la situazione degenerasse e ha suggerito allo Stato di posticipare l'applicazione degli accordi al mese di settembre.
Non sono mancati gli appelli delle tre macro forze in gioco: Russia, Nato e Unione Europea: