"Noi siamo morti sul posto". Questa la frase di Nazia Shaheen, mamma di Saman Abbas, durante una conversazione con il figlio ad agosto dello scorso anno.
Sono le prime dichiarazioni della donna che spuntano dall'inizio dell'indagine per l'omicidio della 18enne pachistana, con il processo che inizierà a febbraio a Reggio Emilia.
L'inchiesta vedrà al banco degli imputati cinque familiari della ragazza: madre e padre latitanti in Pakistan, due cugini e uno zio arrestati tra Francia e Spagna.
La conversazione di Whatsapp risale al 30 agosto 2021, quando il fratello di Saman ha chiamato i genitori fuggiti in Pakistan il 1 maggio, subito dopo l'omicidio della figlia. Lo stesso fratello ha accusato i famigliari del delitto, dicendo che materialmente l'esecutore sarebbe lo zio, nonostante la confessione del cugino.
Nella chiamata il giovane è arrabbiato con zio e cugino, che avrebbero istigato a commettere l'omicidio.
La madre cerca di calmarlo dicendo di "lasciarli stare".
Il fratello cita una frase di questi famigliari:
"'Se fosse stata mia figlia, anch'io avrei fatto così con lei'. Io non ho dimenticato niente. Li raddrizzerò questi due".
La madre risponde: "Tu non sai di lei?", probabilmente facendo riferimento ai comportamenti di Saman, "Davanti a te a casa… noi siamo morti sul posto, per questo tuo padre è a letto e anche la madre a letto".
"Anche di lei non è che non sai, da costretti è successo quello che è successo, anche tu lo sai, figlio mio non sei bambino, sei giovane anche e comprendi tutte le cose. Tu sei a conoscenza di tutto. Pensa a tutte le cose, i messaggi che ci facevi ascoltare la mattina presto, pensa a quei messaggi, pensa e poi dimmi se i tuoi genitori sono sbagliati".
"Ora mi sto pentendo, perché ho detto", chiude il ragazzo.
Secondo un altro cugino interrogato dai Carabinieri di Reggio Emilia la "condanna a morte" sarebbe scattata con una foto postata da Saman in cui baciava il fidanzato, a vederla il fratello minorenne che la mostrò ai genitori, scatenandone la rabbia.