Una sentenza della Cassazione depositata nei giorni scorsi ha confermato la custodia cautelare in carcere (disposta dal Tribunale del Riesame di Roma) per un uomo accusato di maltrattamenti ai danni della ex moglie che si trovava in una struttura protetta. I giudici hanno respinto il ricorso dell'imputato, il quale aveva chiesto l'annullamento della custodia cautelare e del divieto di avvicinamento alla donna. Il motivo? Anche se la donna si trova in un centro antiviolenza non è detto che sia al sicuro dall'ex marito.
Nel verdetto della Suprema Corte emesso nei giorni scorsi si legge che l’indagato è incapace di contenere i propri impulsi a causa dell’abituale assunzione di sostanze alcoliche e dell’atteggiamento di rivalsa anche dopo la collocazione della persona offesa e dei figli minori in casa protetta tanto da aver espresso l’intento di scoprire il luogo in cui la persona offesa si trova attraverso informazioni assunte presso la scuola frequentata dai figli.
L’uomo, tramite il suo avvocato, aveva chiesto di annullare la custodia cautelare e il ‘divieto di avvicinamento’ alla ex moglie per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza considerato il fatto che la persona offesa vive in un centro antiviolenza dal marzo 2022, quindi in un luogo non raggiungibile dal coniuge nei cui confronti, attesa l’incensuratezza, potrebbe essere pertanto disposta la più gradata misura del divieto di avvicinamento congiunta a quella dell’obbligo di allontanamento dalla casa familiare.
Il ricorso è stato respinto da giudici in quanto inammissibile perché la collocazione in un centro antiviolenza costituisce una conseguenza della sua pericolosità e non una ragione valida per attenuare le restrizioni a tutela della persona offesa, quasi che i condizionamenti della libertà di movimento della vittima possano giustificare una maggiore libertà di azione da parte dell’autore delle violenze.