Gianfranco Zola è stato inserito nella Hall of Fame del Calcio Italiano. Un altro numero 10 che ha scritto pagine importanti del calcio azzurro che si aggiunge ad una galleria già ricca di talento e fantasia che vede Roberto Baggio, Alessandro Del Piero e Francesco Totti. Comprimario di un Napoli campione d’Italia con Diego Armando Maradona e protagonista nei trionfi del Parma targato Tanzi, dopo una indimenticabile esperienza al Chelsea col ritorno a fine carriera con la maglia del suo Cagliari.
La compagnia non è male. Sono sorpreso e compiaciuto di ricevere questo riconoscimento esordisce così ai microfoni ufficiali della FIGC. Difficile trovare un nuovo ‘Zola’ nel calcio di oggi dove i numeri dieci si sono spostati in altre zone del campo: Calciatori con caratteristiche simili alle mie come Politano, Zaccagni o Verde vengono fatti giocare oggi come esterni. Il contesto è cambiato e sono chiamati a sviluppare qualità diverse. Altri, come Pellegrini, giocano a centrocampo.
La favola calcistica di Zola inizia nel Corrasi, a Oliena, paese di seimila abitanti a pochi chilometri da Nuoro. Da lì la Nuorese, poi la C2 con la Torres: Giocavo da prima punta e non a caso una delle mie migliori stagioni è stata a Parma, quando ho giocato da attaccante o, come si direbbe adesso, da falso nove. Con la Torres ho iniziato a fare il centrocampista e non è andata male. Diventa impossibile non accorgersi del talento di quel ragazzo sardo, il più veloce ad acquistarlo è Luciano Moggi che lo porta al Napoli nel 1989 per 2 miliardi di lire. Diego e Careca arrivarono quando la preparazione era già iniziata e così io e Massimo Mauro trovammo più spazio. Ebbi modo di farmi conoscere giocando da centrocampista e da mezza punta. Arrivano anche due gol preziosi per la conquista del secondo Scudetto: Ho avuto la fortuna di vivere quella festa a Napoli, è stato straordinario. Sarei estremamente contento se arrivasse il terzo Scudetto, la gente di Napoli se lo merita. So quanto sarebbe importante per loro.
A trentatré anni di distanza la città campana potrebbe tornare a festeggiare uno scudetto con la squadra di Spalletti che ha accumulato un vantaggio impressionante. Ma non domandategli se oggi ci sarebbe spazio per lui negli azzurri: Tutti farebbero fatica a giocare in questo Napoli. Avrei dovuto lavorare duro, ma forse un po’ di spazio l’avrei trovato. Quando lo vedo giocare penso ‘wow’, che meraviglia. La sua forza non è solo nelle individualità, ma nella collettività. Parlando di individualità una menzione speciale la meritano Osimhen e Kvaratskhelia: Kvara non lo conoscevo, ho un’opinione altissima su di lui. È un giocatore molto tecnico, ma anche un uomo squadra. Ha una grande personalità e il suo è stato un crescendo, non si è mai fermato. Mi ricorda George Best.
Nell’estate del ’93 la storia d’amore tra Zola e il Napoli si interrompe bruscamente e i tifosi si sentono traditi: Non fu una decisione semplice, ero molto legato alla squadra e alla città. Ma la società quell’anno aveva dei problemi economici e, oltre a me, furono ceduti Ferrara, Thern e Fonseca. A Parma arrivano i primi due trofei internazionali, una Coppa e una Supercoppa UEFA, ma anche il 6° posto nella classifica del Pallone d’oro 1995: Era una squadra fortissima, che avrebbe potuto raccogliere di più anche in campionato.
Nel 1996 arriva il momento di cambiare maglia e stavolta il salto è grande con il trasferimento in Inghilterra al Chelsea. Io, Vialli e Di Matteo prendemmo una decisione coraggiosa, che si è poi rivelata un’esperienza straordinaria. Andammo controcorrente perché all’epoca la Serie A era il campionato migliore. I tifosi Blues si innamorano subito di Zola che li ripaga vincendo una Coppa delle Coppe, due Coppe d’Inghilterra, una Coppa di Lega inglese e la Charity Shield. Dal gol a Wembley con l’Inghilterra, il più simbolico tra i dieci realizzati in Nazionale, all’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico, ‘Magic Box’ scopre di avere un feeling particolare con il Regno Unito. E anche con Gianluca Vialli nasce un legame profondo: A volte avevamo visioni diverse, ma ci siamo sempre confrontati con il massimo rispetto. Avevamo un grande rapporto, con i suoi valori è stato importante per tutta la squadra. Non mancano gli scherzi: Stavo cercando casa, la sera non sapevo dove andare a mangiare. Gianluca mi portò al ristorante giapponese e mi invitò a provare il wasabi. Ne misi in abbondanza su una fetta di pane, per poco non finii all’ospedale.
L’età avanza ma prima di uscire di scena Gianfranco si regala l’ultimo regalo tornando in Sardegna e trascinando il Cagliari in Serie A: È stata un’altra decisione anomala quella di lasciare una squadra che puntava a vincere la Champions League per andare a giocare in Serie B. Sognavo di portare in Sardegna l’esperienza che avevo maturato, è stata una scelta di cuore che non ho mai rimpianto.
Più travagliato il suo rapporto con la Nazionale (35 presenze e 10 reti), caratterizzato da qualche gioia, ma anche da tante delusioni, dal rigore sbagliato con la Germania a EURO ’96 all’esclusione dai convocati per il Mondiale di Francia ’98: Penso di non essere riuscito a dare tutto me stesso alla Nazionale. Avrei potuto dare molto di più, purtroppo l’emozione mi ha giocato un brutto scherzo. Ho sempre amato la maglia azzurra e se sono diventato un calciatore lo devo alla vittoria nel Mundial ’82, è lì che ho capito cosa avrei voluto fare da grande. In alcuni frangenti non sono riuscito ad essere abbastanza freddo, è stato un mio limite.
In nazionale ci è poi tornato da allenatore come vice di Pierluigi Casiraghi nell’Under 21 azzurra: È stato un periodo molto bello, mi sono divertito tanto. Non avevo mai pensato di diventare un allenatore e quell’esperienza mi ha fatto cambiare idea. Il presente lo vede ricoprire un nuovo ruolo ancora, stavolta nei panni di vicepresidente della Lega Pro guidata da Matteo Marani: Ho avuto la fortuna di conoscere, sia da calciatore sia da allenatore, due mondi diversi come Italia e Inghilterra. Non sono un politico, ma un uomo di sport e spero di poter dare dei suggerimenti utili.