L'episodio risale a quasi sei anni fa ma il dolore e le conseguenze si vedono ancora oggi. Una donna di 42 anni, Sabrina Di Girolamo, è oggi paralizzata dopo aver subìto l'asportazione di un tumore benigno (in particolare un neurinoma acustico). Un momento che avrebbe dovuto fungere da liberazione e che invece si trasforma in un "inferno", come lei stessa lo definisce.
Nata a cresciuta a Terracina, in provincia di Latina, la donna, madre di due ragazze oggi adolescenti, trova posto all'ospedale di Verona per l'operazione che avrebbe sancito la vittoria contro il nemico invisibile. Anni dopo ricorda come tutti i medici la rassicurassero sul fatto che un intervento di quel genere avesse una percentuale di rischio infima, ormai consolidata nel panorama sanitario.
Rientrata nella sua camera e risvegliatasi dall'anestesia, qualcosa però non torna. La donna non riesce più a muovere gli arti inferiori né quelli superiori. Ecco l'istante più duro della sua vita, quello più difficile da ricordare e accettare:
Medici e infermieri capiscono immediatamente i sintomi e sentenziano la diagnosi: una grave forma di tetraplegia dovuta a una sofferenza endomidollare acuta
Il calvario si sposta successivamente dalle stanze fioche di un ospedale alle luci del tribunale. I giudici di Verona, dove si è svolto il processo, riconoscono l'errore umano e obbligano la Asl scaligera a un risarcimento di 1,6 milioni di euro nei confronti della donna oggi paralizzata dopo la rimozione del tumore benigno.
Quanto accaduto ci riporta all'attualità giudiziaria, ancora in corso. L'Azienda ospedaliera ricorrerà in Appello, ma contestualmente si apre una nuova indagine penale a carico dei medici che eseguirono l'operazione fatale. Il neurochirurgo, responsabile in primo piano, è accusato di lesioni colpose nell'esercizio della professione sanitaria, mentre l'anestesista è responsabile di imputazione coatta.
Ciò che poi emerse dalle carte depositate in Tribunale è che l'intervento, come detto non complesso ma neppure così frequente, era stato eseguito da uno specializzando. Il primario di neurochirurgia non era infatti presente ad assistere l'operazione: un giorno come tanti che però, per Sabrina Di Girolamo, è diventato il giorno della discordia.