Terzo e ultimo giorno in Ungheria per Papa Francesco, inaugurato con la messa nel cuore del Budapest. Il momento più significativo del suo messaggio, il suo lascito pronunciato durante l'omelia odierna e indirizzato direttamente al presidente Viktor Orban.
Davanti a una gremitissima Piazza Kossuth Lajos, il Pontefice ha scelto la figura di Gesù come buon pastore capace di andare in cerca del suo gregge e poi, una volta concluso il suo lavoro, di lasciarlo uscire alla luce del mondo.
Il riferimento più evidente è quello al tema dell'immigrazione, espresso tramite la metafora della "porta aperta":
Bergoglio elenca tutti i peccati commessi: dal predominio del nostro individualismo che però si trasforma in solitudine, all'indifferenza verso chi è in difficoltà e chiede aiuto. In poche parole, l'ostilità verso tutto ciò che è straniero ed estraneo.
Replicare dunque l'insegnamento che Dio ci ha dato quando noi eravamo lo straniero, persi alla ricerca della retta via. Ecco il messaggio che risuona dalle parole di Papa Francesco alla Messa celebrata oggi in Ungheria, intervallate dalla traduzione in lingua magiara.
Noi, che siamo diventati figli del Signore, strappati dalla morte e dal peccato. E ora possiamo fare tesoro di quella "memoria grata", nella quale tutti siamo uguali davanti al suo cospetto perché è Lui che ci ha chiamato a raccolta. È dunque nostro dovere favorire la fraternità e la collaborazione reciproca, nel segno dell'amore verso l'intera comunità.
Così come ci ha accolto, Gesù ci apre la porta per incontrare i nostri fratelli nel mondo, "una porta che non viene sbattuta in faccia a nessuno". Bergoglio sottolinea in particolare la parola "facilitatori" nel descrivere il ruolo che tutti noi, cattolici, laici e gruppi episcopali, dobbiamo avere nel diffondere il verbo del Signore.