Gli stipendi in Italia sono praticamente fermi a trent’anni fa: da un’analisi del Global Wage Report 2022-2023, presentata da Ocse
e riportata su Il Fatto Quotidiano risulta che tra il 1990 e oggi nel nostro Paese l’aumento medio delle buste paga è stato di appena
lo 0,3%: 29.694 euro contro i 29.588 del 1991. Dati che sottolineano un incremento infinitesimale che diventa ancora più riduttivo se si
guarda agli aumenti di cui hanno goduto i lavoratori tedeschi, francesi e inglesi per non parlare di quelli dell’Est Europa e degli statunitensi. Il compenso per i dirigenti è di 101.649 euro, per i quadri di 54.519 euro, gli impiegati si attestano a 30.836 e gli operai a 24.787 euro. Quello dei servizi finanziari è il settore meglio pagato e con il maggiore tasso di crescita tra 2015 e 2021.
Il confronto è d’obbligo: Francia e Germania hanno visto aumentare gli stipendi dei loro dipendenti del 33%; la stessa Grecia, dove si è sviluppata una crisi economica spaventosa, ha comunque assicurato ai suoi lavoratori un +22%. Ma è da Slovacchia, Repubblica ceca e Slovenia, per le quali i dati sugli stipendi sono disponibili solo a partire da metà anni Novanta che arriva la lezione maggiore: questi hanno visto il salario medio schizzare rispettivamente del 134%, 120% e 73%. Ancora più spettacolari i progressi registrati nello stesso periodo in Lituania, Lettonia ed Estonia: +292%, +218% e +256%. Anche la Spagna segna un +4,7% rispetto al 1991.
Fuori dall’Europa il copione dell’aumento degli stipendi non cambia: inglesi e statunitensi nel 2021 hanno portato a casa rispettivamente il 50,5% e il 52% in più rispetto a 30 anni fa. La conferma della ricerca arriva anche dall’Istat. A confermare questo andamento negativo è l’ultima ricerca effettuata dall’Istat. Nel 2022 gli stipendi italiani sono scesi in media del 7,6% con un incremento medio del valore nominale delle buste paga pari all’1,1%. Queste variazioni vanno però rapportate all’aumento generalizzato dei prezzi e all’inflazione che è stata dell’8,7%. Il divario tra aumento dei prezzi e quello dei salari è il più ampio dal 2001, anno di diffusione dell’indicatore dei prezzi armonizzato a livello europeo. Nel 2022, ricorda l’Istat, sono stati recepiti 33 rinnovi di contratti collettivi ma gli adeguamenti economici sono stati modesti. Gli aumenti tendenziali più elevati degli stipendi riguardano l’attività dei vigili del fuoco (+11,7%), dei ministeri (+9,3%) e del Servizio sanitario nazionale (+6,1%, comunque al di sotto dell’inflazione). Nel privato i salari sono fermi nel commercio, nelle farmacie private, nei pubblici esercizi e negli alberghi. I dipendenti dell’industria hanno visto i salari salire di un modesto 1,5%.
Federico Luciani