In Israele non si fermano le proteste contro la riforma della Giustizia promossa dal Governo di Benjamin Netanyahu: nelle piazze della capitale Tel Aviv sono scese migliaia di persone per manifestare al grido di «dobbiamo fermare la dittatura, nessuno lo farà al nostro posto».
Per i protestanti, oggi è una «Giornata della resistenza», istituita per gridare il dissenso rispetto ad una legge che vuole limitare le prerogative del potere giudiziario, Corte Suprema compresa, rispetto allo strapotere del Governo. La legge sarà presto messa al voto presso la Knesset ed è considerata da molti una netta virata verso l'autoritarismo.
Da Piazza Habima al Ministero della Difesa, dalla sede della Borsa alla centrale sindacale Histadrut: fin dalle prime ore dell'alba i manifestanti hanno destato Tel Aviv con i loro slogan anti-riforma, sventolando per le strade e per le piazze bandiere israeliane. I protestanti hanno minacciato di occupare anche diverse stazioni ferroviarie della capitale, con l'intento di mandare un messaggio ai cittadini: «Il Governo di Netanyahu è uscito dai binari».
Molti di coloro che hanno preso parte a queste proteste sono dirigenti di Forza Kaplan", la coalizione di gruppi politici mossi contro l'attuale Esecutivo.
È la rivendicazione che risuona nelle piazze di Tel Aviv.
Immancabile qualche battibecco con la polizia. La Strada 531 è stata a lungo bloccata da alcuni manifestanti, che sono stati bloccati dagli agenti: 17 gli arresti, tutti con l'accusa di violazione dell'ordine pubblico.
È certamente un momento molto delicato per il leader conservatore Netanyahu. Da quando lo scorso gennaio è stata presentata, la riforma della Giustizia non ha fatto che portagli guai: la popolazione israeliana è insorta in difesa dei suoi diritti e della democrazia, mentre i Ministri dell'Esecutivo continuano a tirare dritto per la propria strada. «Non cederemo alle minacce dei violenti», fanno sapere dai vertici di Tel Aviv.
Ma per le strade la situazione rimane critica: sempre più proteste e sempre minor tolleranza da parte del popolo rispetto alle posizioni reazionarie del Governo.
In questa condizione complessa, si inserisce la chiamata di Joe Biden: il Presidente Usa ha telefonato al Primo Ministro Netanyahu lunedì e lo ha invitato alla Casa Bianca. In realtà, più che un invito, sembra piuttosto una convocazione: gli Stati Uniti sono storici alleati di Israele e sono pronti a chiedere conto di quanto sta succedendo nel Paese a causa della contestata riforma.