La Bce approda alla decisione dell'ennesimo aumento dei tassi. Si tratta della nona misura simile in un solo anno, da quando cioè l'Europa ha adottato questa stringete politica monetaria. A questo giro l'aumento si attesta allo 0,25%, facendo sì che i tassi principale di rifinanziamento per le banche raggiunga il 4,25%, mentre quello sui depositi della liquidità presso la Bce resta al 3,75%.
Questo ormai tradizionale appuntamento con l'innalzamento dei tassi sembra però essere finalmente giunto ad un suo capolinea, o quantomeno ad una meritata pausa estiva. Proprio quando gli istituti bancari sembrano essersi rassegnati al continuo rialzo, la Bce rassicura invece con un'importante novità: il prossimo appuntamento, quello del Consiglio direttivo il 14 settembre, potrebbe non annunciare un nuovo aumento dei tassi d'interesse.
La sensazione che una prossima stretta non sarà più necessaria ha cominciato a serpeggiare infatti anche tra i più favorevoli a questa politica monetaria, uno su tutti il Presidente della Banca d'Olanda Klaas Knot. Insieme a lui, anche il numero uno della Bundesbank, Joachim Nagel, ha espresso qualche dubbio sul fatto che il prossimo rialzo sarà imprescindibile, ovviamente in conformità con i nuovi dati di crescita che giungeranno nei prossimi mesi.
Sebbene qualcuno in zona euro stia già quasi cantando vittoria, affermando che potrebbe non essere necessaria una prossima stretta sui tassi, i segnali di rallentamento tra i Paesi membri dell'Unione sono evidenti. In particolar modo, è la Germania ad aver sofferto di più un certo rivolgimento degli equilibri mondiali che ha avuto effetti importanti sull'economia.
Berlino vede infatti il suo Pil contrarsi dello 0,3% quest'anno. Le cose vanno un po' meglio per noi e per i nostri più prossimi cugini d'Oltralpe: Italia e Francia sono ancora in crescita, per quanto timidamente, la prima dell'1,1% e la seconda dello 0,8%.
Ma una generale difficoltà economia e finanziaria si riscontra in realtà in tutta Europa: l’ultima Bank Lending Survey della Bce, il sondaggio sul credito bancario, ha sottolineato come nel secondo trimestre di quest'anno la domanda dei prestiti delle imprese abbia raggiungo il livello più basso mai registrato negli ultimi 20 anni.
Inoltre, cala anche l'indice complessivo dei manager, con livelli preoccupanti che dimostrano la contrazione dell'attività. Il rischio di una recessione è dunque ancora molto concreto: a salvare la situazione rimangono solo i livelli di disoccupazione, ai minimi storici dall'inizio della moneta unica.
Prima di prendere una qualsiasi decisione sul da farsi, la Bce vorrà visionare lo stato dell'inflazione di fondo, per comprendere se la politica monetaria adottata sta finalmente sortendo l'effetto di un suo significativo rallentamento. Dopodiché, dati alla mano, la Banca Centrale potrebbe optare per l'interruzione o il rallentamento dell'acquisto dei titoli in scadenza, soprattutto quelli che erano stati comprati per oltre 1.700 miliardi durante la pandemia (il «Pandemic Emergency Purchase Programme», il Pepp).
Tra questi, ci sarebbero anche alcuni titoli italiani. Se la Bce dovesse andare in questa direzione, i titoli tricolore del Pepp si aggiungerebbero a quelli in scadenza comprati nei programmi di «quantitative easing» tra il 2015 e il 2019 che già a partire da quest'estate non vengono più riacquistati. Questo si rifletterebbe su un ulteriore aumento del debito pubblico, dal momento che ad oggi la Bce è il principale detentore del debito italiano.