Le operazioni di sversamento delle acque di Fukushima nel Pacifico sono cominciate nella giornata di ieri: oggi la società Tepco, che gestisce l'attività, ha eseguito i primi controlli per verificare che i livelli di radioattività siano rimasti entro i limiti fissati. Niente di cui preoccuparsi: la società ha garantito che il valore analizzato nelle acque del Pacifico è inferire a 1.500 bequerel per litro (unità di misura della radioattività), quando il limite di sicurezza fissato dall'Onu equivale a 60.000.
Ha rassicurato il portavoce della Tepco. Anche gli esperti dell'AIEA, che si sono sempre pronunciati positivamente per il progetto si svuotare i serbatoi di Fukushima nell'Oceano, sono presenti in Giappone in questi giorni concitati e hanno già assicurato che la loro permanenza si protrarrà fino ad operazioni concluse.
Ha dichiarato Rafael Grossi, leader dell'organismo interno alle Nazioni Unite.
Nonostante le rassicurazioni da parte degli esperti, la Cina non ha ancora lasciato il piede di guerra intrapreso con il Giappone a seguito della decisione di versare nel Pacifico le acque contaminate di Fukushima. Al centro delle polemiche c'è sempre il trizio, unica sostanza radioattiva che, sebbene rimanga solo in minime quantità, non riesce ad essere eliminata dai sistemi di filtraggio a cui viene sottoposta l'acqua prima di essere smaltita.
Ora, dopo diversi provvedimenti contro i prodotti provenienti dal Giappone, è però Tokyo a puntare il dito contro Pechino. Pare infatti che ognuno dei 13 impianti cinesi ad oggi funzionanti scarichi nel mare quantità di trizio ben superiori a quanto sta facendo da ieri la centrale di Fukushima.
L'impianto di Qinshan, nella provincia orientale di Zhejiang, ha rilasciato 218 trilioni di becquerel di trizio nel 2021, mentre la quantità della sostanza che sarà rilasciata da Fukushima da qui ai prossimi 30 anni (durata complessiva dello sversamento) ammonterà appena a 22.000 miliardi.
Ma il Governo cinese non abbassa la testa: secondo Pechino, l'acqua che esce dalla centrale giapponese è usata per raffreddare il combustibile nucleare fuso, il ché la renderebbe più pericolosa. Per questo, il Governo cinese mette in dubbio l'autenticità delle analisi condotte e accusa gli organismi internazionali e il Giappone di non essere stati trasparenti sui rischi a lungo termine delle operazioni.
La Cina dunque prosegue sulla sua strada e conferma i divieti di importazione per molti prodotti alimentari, specie ittici, provenienti dal Giappone. A Tokyo dunque non resta che fare ricorso presso il G20 per difendersi dalle decisioni di Pechino, come annunciato dal Ministro per gli Affari Esteri nipponico Kenji Yamada.
Nel frattempo però si moltiplicano le proteste, anche sui social. Sina News ha offerto ai suoi utenti di Weibo (versione mandarina dell'ex Twitter) un sondaggio in cui si poteva scegliere tra tre definizioni della scelta giapponese su Fukushima, una più spregiativa dell'altra: violazione della legge internazionale, atto non convenzionale e irrazionale che danneggia l'umanità, azione che danneggia l'ambiente ecologico globale.
Addirittura, La Cgtn, il canale in lingua inglese del network statale Cctv, ha ventilato timori su un prossimo "Godzilla nella vita reale" che emergerà dai mari diventati radioattivi - secondo loro - del Giappone.
Ma la Cina non è l'unica accusatrice da cui Tokyo deve difendersi: proteste e provvedimenti sull'import nipponico sono arrivati anche da Hong Kong e dall'ente russo Rosselkhoznadzor, che si occupa di sicurezza alimentare. Infine, a Seul sono scoppiate ieri molte proteste davanti all'ambasciata Giapponese, con la polizia che è dovuta intervenire per impedire ai manifestanti di fare irruzione nell'edificio.