Accadde oggi, 20 settembre 1870: la presa di Roma. Fin dai tempi della proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, l’acquisizione di Roma quale Capitale, rappresentò un tema centrale per la posizione geografica della città e la sua importanza storica e religiosa che ne facevano un simbolo del processo di riunificazione nazionale. Lo stesso Camillo Benso Conte di Cavour, pochi mesi prima di morire, con un appassionato discorso aveva indotto il Parlamento a dichiarare Roma Capitale d’Italia; anche se come atto puramente simbolico, in quanto la città si trovava ancora al di fuori dei territori del Regno.
Dopo l’audace quanto velleitario tentativo di Garibaldi a Mentana del 3 novembre 1867, la questione romana sembrava destinata a non doversi sbloccare. La situazione internazionale rendeva impossibile qualsiasi azione ufficiale italiana: Napoleone III aveva assunto il ruolo di strenuo difensore del potere temporale del papato già dai tempi della Repubblica Romana del 1849 e in più occasioni aveva dichiarato che non avrebbe accettato l'ennesimo esempio di politica del fatto compiuto da parte degli italiani.
Un evento inaspettato contribuì però a un repentino cambio dello scenario, aprendo nuove possibilità per la soluzione del problema. La guerra franco-prussiana del luglio 1870 e la conseguente caduta di Napoleone III dopo la cocente sconfitta di Sedan tra l'1 e il 2 settembre 1870, privavano Pio IX del suo alleato più importante. Il Governo del Regno, presieduto da Giovanni Lanza, comprese che era arrivato il momento di agire. La risposta negativa della Santa Sede alla lettera di Vittorio Emanuele al Papa in cui il sovrano chiedeva inutilmente di far entrare truppe sabaude a Roma con il pretesto di proteggerlo, indusse all’azione.
L’11 settembre 1870 arrivò al generale Raffaele Cadorna, di stanza in Umbria con 50.000 uomini, l’ordine di entrare nello Stato Pontificio e dirigersi verso Roma, dove le esigue forze papaline contavano appena 13.000 soldati al comando del generale Hermann Kanzler. Alle 5.15 del mattino del 20 settembre 1870 furono sparati dall’artiglieria italiana i primi due colpi di cannone contro le mura Aureliane, all’altezza di Porta Maggiore. Successivamente, il cannoneggiamento cominciò a diventare più intenso e si concentrò da Porta San Giovanni a Porta Pia, dove in breve tempo si aprì la famosa breccia. Pio IX, conscio dell’inutilità della difesa a oltranza, decise allora di deporre le armi. Dopo qualche esitazione il fuoco cessò e la bandiera bianca fu esposta a porta Pia: erano le 10.10.
I bersaglieri cominciarono così a entrare in città, con l’ordine di occuparne i punti strategici. La resa fu siglata a Villa Albani, dove si raggiunsero i seguenti accordi: "La città di Roma, tranne la parte che è limitata al sud dai bastioni Santo Spirito, e che comprende il monte Vaticano, il suo armamento completo, bandiere, armi, magazzini da polvere, tutti gli oggetti di aspettazione governativa, saranno consegnati alle truppe di S. M. il Re d’Italia". Il referendum del 2 ottobre 1870 sancì l’annessione al Regno d’Italia della città, che, subito dopo, venne proclamata Capitale. La breccia di Porta Pia simboleggia l’inizio della storia di Roma come Capitale d’Italia e, soprattutto, la fine, dopo più di mille anni, del potere temporale del papato (nella foto: il monumento al bersagliere a Porta Pia).