Il 21 settembre è la Giornata Internazionale della Pace. Sono ancora tanti i conflitti nel mondo, basti pensare all'Ucraina o ai recenti scontri che si stanno verificando in Nagorno Karabakh. Abbiamo parlato dell'importanza della costruzione di una cultura della pace con Don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi.
Parlare di pace in un mondo fatto di conflitti non è semplice. La guerra in Ucraina ha fatto capire alla maggior parte degli europei cosa significhi avere un conflitto a poche ore dalla propria casa, le recenti tensioni in Nagorno Karabakh fanno pensare ad una nuova guerra e i continui conflitti dall'Africa fanno crescere i flussi migratori. Di queste tematiche abbiamo parlato con il consigliere nazionale di Pax Christi, don Renato Sacco.
Questa giornata è stata voluta dall'Onu negli anni '80 e proprio in questi giorni c'è un'Assemblea delle Nazioni Unite che grida l'esigenza di una democrazia in questo mondo richiamando alla pace. Oggi però la parola "pace" sembra una parola fuori luogo e anche i potenti che siedono all'Onu parlano con più facilità di guerra che di pace.
Dobbiamo fare di tutto perché l'Organizzazione delle Nazioni Unite venga valorizzata e sostenuta evitando di valorizzare gruppi e strumenti più favorevoli alla guerra come la Nato.
Sessant'anni fa il papa Giovanni XXIII fece l'enciclica "Pacem in terris" e mise dei pilastri ancora oggi attuali: libertà, verità, giustizia ed amore. Credo che sia valido ancora oggi, se al posto della cultura della pace lasciamo entrare la follia della guerra nel linguaggio e nell'economia dopo siamo travolti dalla guerra.
Faccio un esempio. Quando c'era il Covid si diceva continuamente "siamo in guerra" o "i medici sono in trincea", questa è una cultura di guerra. Se il linguaggio diventa un linguaggio di guerra allora parlare di pace diventa motivo di derisione. La pace è il fondamento della convivenza umana mentre la guerra è la celebrazione della violenza, noi abbiamo una Costituzione italiana che dice "L'Italia ripudia la guerra".
Io dico che la cultura della pace parte dal Vangelo come credente e dalla Costituzione come cittadino. La guerra ha bisogno di propaganda e di bugie, è necessario lottare per dignità e diritti delle persone...spesso quando parliamo di guerra dimentichiamo che muoiono persone, chi lavora per la pace invece mette al centro le persone.
Io stesso sono stato più con le carovane #STOPTHEWARNOW in Ucraina e ho visitato Kiev, Odessa e Mykolaïv. Abbiamo incontrato obiettori e persone vicine ai movimenti della pace, tra tutti Yurii Sheliazhenko e Katia che è stata assieme ad altre due donne Daria ed Olga - provenienti una dalla Bielorussia e l'altra dalla Russia- in Italia lo scorso anno.
E' stata una bella esperienza che tre donne di tre Paesi diversi sono venute in Italia per dire che non vogliono risolvere i problemi con la guerra. La cultura della guerra porta a denigrare la pace e a coniare termini come "pacifinti" o ad accostare chiunque chieda una soluzione diversa dal conflitto come "amico di Putin". Chi parla di difesa dell'Ucraina oggi ieri ha venduto le armi a Putin, adesso si discute di dare le armi all'Azerbaigian e l'Italia cerca di chiudere accordi, ricordiamo che da noi c'è la legge 185\90 che vieta di vendere armi a Paesi in guerra...come la mettiamo in questo caso? Il potere è inebriato molto spesso dalla follia delle armi.
La guerra è una delle più grandi fabbriche di profughi e spesso questi conflitti sono alimentati proprio da noi occidentali per poi arroccarci come fortezze quando arrivano i migranti dai Paesi destabilizzati. Siamo responsabili di squilibri mondiali assurdi, ogni tanto la cronaca lo fa emergere come la questione del Niger. Invece di parlare di umanità si parla di emergenza, il messaggio della prossima domenica di Papa Francesco sarà "Liberi di restare, liberi di migrare": il problema è proprio la libertà che manca. Se noi rendessimo libere le persone di venire e restare non avremmo visto tragedie come Cutro o situazioni disumane, non è un emergenza ma un fenomeno che va cercato di capire.
Si preferisce innalzare barriere e qualcuno invoca la presenza militare o centri di detenzione di 18 mesi. E' diabolico quello che sentiamo e che alimenta le paure verso chi è più povero ed arriva nel nostro Paese. Domenica sarà la 109esima giornata del migrante e questo ci dice che non si tratta di un'emergenza di adesso ma di un fenomeno che fa parte del nostro mondo, bisognerebbe studiare la storia e ricordarci di essere un po' più umani anche quando si fanno affermazioni diaboliche come quelle di Meloni e Salvini, soprattutto se si tira in ballo Dio. Dire cose contro poveri e chi fugge dalle guerre e dalle ingiustizie e dire che si vuole difendere Dio è grave...siamo vicini alla bestemmia.
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