Il cadavere ritrovato impiccato a Trieste non è stato vittima di omicidio: è la prima supposizione della Procura di Trieste, che ha dato il via all'indagine sulla vicenda. In una nota, i giudici hanno sottolineato come gli elementi a loro disposizione non riconducano "in alcun modo" ad un decesso "dovuto all'opera di terzi".
Rinvenuto in un viadotto lungo la Grande velocità triestina, il corpo dovrebbe appartenere ad un cittadino iraniano di 55 anni. L'uomo, un senza fissa dimora nato a Teheran, aveva con sé un certificato risalente al 10 settembre scorso.
Il documento, rilasciato dalla Donk-Humanitarian Medicine, recava la diagnosi di una "sindrome ansiosa depressiva", prescrivendo la necessità di una visita psichiatrica. Una carta che potrebbe rivelarsi un elemento chiave nelle mani degli inquirenti.
Chi indaga sull'accaduto ha confermato che il decesso risalirebbe a 36-48 ore prima del ritrovamento. Da una prima ispezione cadaverica non sono emersi segnali di tortura né di violenza. Contrariamente a quanto ipotizzato in un primo momento, sul corpo non vi è traccia di bruciature, lesioni da taglio o traumi.
Si riscontrano invece di "lesioni post mortem, conseguenti ai fisiologici fenomeni putrefattivi che hanno interessato il cadavere". Gli unici segni rinvenuti sulla salma "sono quelli tipici dell'impiccamento".
L'uomo era stato trovato appeso al guardrail di una superstrada, con mani e piedi legati: per recuperarlo si è rivelato necessario l'intervento dei vigili del fuoco. Gli investigatori hanno approfondito la natura di quelle bende di fortuna. Quella a coprire gli occhi, che nascondeva gran parte del volto, era una camicia a maniche corte, arrotolata su sé stessa.
Un'altra camicia gli bloccava le mani, lasciando un'apertura di circa 30 centimetri. I piedi erano invece bloccati da del nastro adesivo.
Ulteriori dettagli sull'accaduto potrebbero arrivare dopo l'autopsia sul cadavere, anche se per il momento non si hanno ulteriori indicazioni da parte delle autorità in merito.