Licenziato senza preavviso dopo l'arresto: questa la decisione dell'Istituto Giovanni Paolo II di Bari in merito alla vicenda dell'oncologo Vito Lorusso, colto in flagranza di reato mentre chiedeva soldi a un paziente per saltare la lista d'attesa e ottenere in anticipo una visita di controllo.
Lorusso era primario di Oncologia medica presso l'istituto barese. Lo scorso luglio era finito nella bufera per le accuse di concussione e peculato nei suoi confronti. Decisive nelle indagini le immagini delle telecamere installate nello studio medico. L'inchiesta ha portato alla luce "sistematiche e quotidiane" condotte illecite.
Tutto è cominciato nel 2022, dopo la denuncia della figlia di un paziente. Secondo l'accusa, il direttore dell'unità operativa di oncologia medica dell'Istituto Tumori di Bari avrebbe percepito sistematicamente grosse somme di denaro, inducendo i pazienti oncologici a credere che, pagando, avrebbero potuto accorciare i tempi. Attraverso il corrispettivo, a detta di Lorusso, avrebbero "saltato la fila" ottenendo rapidamente le tanto desiderate prenotazioni.
L'inchiesta della procura è nata nel novembre del 2022, dopo la prima denuncia. Nel mirino degli inquirenti almeno 15 episodi dal maggio 2019. Una volta reso noto il suo arresto, l'ospedale del capoluogo pugliese aveva annunciato la sospensione del primario dal servizio.
Oggi, a tre mesi di distanza, la conferma: Lorusso, attualmente ai domiciliari, è licenziato dal suo incarico. Lo ha reso noto lo stesso ospedale in una nota.
Durante le indagini erano emerse, inequivocabili, le intercettazioni ambientali con le parole pronunciate dal medico per "tentare" il paziente. Poco prima di essere arrestato, Lorusso gli avrebbe detto, per convincerlo:
Secondo la Procura di Bari, il primario avrebbe creato una "situazione di sudditanza psicologica" nei malati oncologici e, attraverso "minacce implicite", avrebbe denigrato "costantemente il Servizio sanitario nazionale nonché i suoi stessi colleghi".
In questi giorni, lo stesso Oncologico barese è finito nella bufera per l'avvelenamento di un infermiere.