La Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione delle indagini aperte nel 2022 sul delitto di Simonetta Cesaroni, consumatosi in via Poma nell'agosto del 1990. Nel corso dei nuovi accertamenti non sarebbero infatti emersi elementi utili a risolvere quello che, ad oggi, resta uno dei più grandi gialli della storia della Capitale, insieme a quelli delle 15enni Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, scomparse nel 1983 e mai ritrovate.
Il fascicolo d'inchiesta, per omicidio volontario contro ignoti, era stato aperto nel marzo dello scorso anno e puntava a verificare le posizioni di alcuni soggetti già coinvolti nelle precedenti indagini. I nuovi accertamenti hanno riguardato, tra l'altro, l'audizione di oltre venti persone informate sui fatti, ma non avrebbero fornito elementi utili.
Da qui la scelta dei magistrati capitolini di chiedere l'archiviazione. Archiviazione a cui, con tutta probabilità, i familiari di Simonetta Cesaroni si opporranno. Il legale che li difende, l'avvocato Federica Mondano, ha infatti fatto sapere che da poco avevano presentato "un ulteriore esposto con delle informazioni molto rilevanti per le quali la Procura avrebbe dovuto procedere ad accertamenti".
Le informazioni, di cui ha parlato all'Adnkronos, andrebbero ad aggiungersi a quelle già rese note dalla Commissione parlamentare Antimafia che, dopo aver analizzato dettagliatamente il caso, aveva indicato altre possibili piste da vagliare: l'analisi di una macchia di sangue repertata sulla maniglia della porta dell'ufficio in cui la vittima lavorava e quella dell'arma del delitto, ad esempio.
Elementi fondamentali per rimettere insieme i pezzi della vicenda, rimasta senza un colpevole. L'ipotesi della Commissione è che all'epoca dell'omicidio ci fu un "insabbiamento immediato" dei fatti, per allontanare i sospetti da un uomo in particolare, forse un uomo di Stato.
Simonetta Cesaroni fu trovata morta il 7 agosto del 1990 all'interno dell'ufficio in cui lavorava come segretaria, in via Carlo Poma, a Roma. Aveva 21 anni e insieme alla sua famiglia viveva nel quartiere Don Bosco. Quel giorno si era recata sul luogo di lavoro per sbrigare delle pratiche.
Attorno alle 17.15 si era messa in contatto con un collega, Luigi Berrettini. Poi la madre non era più riuscita a sentirla. Quando non l'aveva vista arrivare per cena, preoccupandosi, aveva deciso, insieme alla sorella della 21enne, di iniziare a cercarla. Grazie al datore di lavoro, Salvatore Volponi, avevano avuto accesso all'ufficio.
Sul pavimento, quando entrarono, c'era il corpo senza vita della giovane, che evidentemente era stata uccisa. L'autopsia stabilì che chi l'aggredì, dopo un tentativo di violenza sessuale, usò un'arma da taglio, forse un fermacarte. Le indagini portarono subito a un sospettato: Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile di via Poma, poi prosciolto (e morto suicida nel 2010).
Oltre a lui, negli anni, sono finiti nel mirino degli inquirenti - finendo per essere scagionati - altri tre uomini: oltre al datore di lavoro di Simonetta, un certo Federico Valle, abituale frequentatore del condominio, e Raniero Busco, l'allora fidanzato della 21enne, condannato in primo grado a 24 anni di carcere e poi assolto con formula piena nel 2014.
Tra le tante piste avanzate in 33 anni, ce n'è una che riguarda la presunta esistenza di un serial killer, attivo nella Capitale tra il 1982 e il 1990. Un killer che avrebbe mietuto almeno dodici vittime, tutte ragazze, tra cui non solo Simonetta Cesaroni, ma anche Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. A parlarne sono stati l'ex magistrato Otello Lupacchini e il giornalista Max Parisi, che sulla questione hanno scritto un libro.