Il femminicidio di Vanessa Ballan, la 26enne assassinata ieri nella sua casa a Riese Pio, in provincia di Treviso, non è che l'ennesima storia di una denuncia rimasta inascoltata.
Vanessa aveva infatti già denunciato a fine ottobre il suo presunto assassino, il 41 enne kosovaro Bujar Fandaj, che da oltre un anno la stalkerizzava e la minacciava di morte dopo la fine della relazione clandestina tra i due.
Una denuncia, quella delle giovane, che purtroppo non è riuscita a prevenire la furia omicidia di Fandaj, la cui pericolosità, come come spiegato dal procuratore di Treviso oggi, è stata probabilmente sottovalutata. Nei confronti dell'uomo, infatti, non si era disposta né la misura cautelare né un divieto di avvicinamento.
Il femminicidio di Vanessa Ballan e la mancata protezione offerta alla giovane - che pur aveva denunciato la pericolosità del suo stalker, Bujar Fandaj - rende questa vicenda ancor più dolorosa e, soprattutto inaccettabile.
Per questo, la redazione di TAG24 ha commentato la mancata applicazione di misure a tutela dell'incolumità di Vanessa con Cristina Ercoli, membro del direttivo di Differenza Donna, associazione che dal 1989 si batte contro la violenza di genere.
Ercoli, purtroppo dobbiamo commentare l'ennesimo femminicidio avvenuto in Italia.
«Un femminicidio, purtroppo, è solo l'ultimo step dopo un'escalation di violenza. Il dato allarmante che dobbiamo registrare nuovamente oggi è che, nonostante la società civile si sia data delle norme per contrastare la violenza di genere, queste non riescano ancora a essere applicate.
Come mai avviene questo? Perché le Forze dell'ordine banalizzano le denunce? Perché il magistrato o il Pm non reputano necessaria l'applicazione di alcune norme, o magari perché non ci sono abbastanza braccialetti elettronici? Oppure il problema è che, nonostante il rafforzamento del Codice rosso, mancano i finanziamenti per applicare le normative a tutela delle donne?
Tutti questi elementi ci indicano chiaramente come nel nostro Paese ci sia bisogno di un cambio di passo che parta dalla formazione. Abbiamo necessità che la società si metta dalla parte delle donne che subiscono violenze, maltrattamenti e cattività».
Cosa serve al nostro Paese in tema di contrasto alla violenza di genere?
«La violenza nella società è sistemica: per questo abbiamo bisogno di riformare tutto il sistema. Non è più tollerabile che si intervenga con misure spot o che ci siano delle Procure formate in questi temi e altre no.
Le richieste di aiuto che arrivano al 1522 parlano chiaro, facendo emergere come sempre più donne scelgano di rivolgersi ai centri antiviolenza, le vere antenne che sul territorio forniscono assistenza - in rete con i servizi sociali e le Forze dell'ordine - e che svolgono formazione e prevenzione.
Per essere efficace, tuttavia, questo lavoro non può essere lasciato al caso: per questo servono linee di finanziamento dedicate e strutturate».
Il procuratore di Treviso ha affermato come, nel caso di Veronica Ballan, sia stata probabilmente sottovalutata l'urgenza del caso. Come possiamo, allora, tranquillizzare le donne?
«Alle donne noi dobbiamo dire che non devono solo denunciare, ma devono soprattutto rivendicare il diritto a essere tutelate in un percorso.
Spesso, si denuncia solo l'ultimo episodio di violenza subito. Quello che è fondamentale, tuttavia, è vengano resi noti tutti i fatti, così che possa emergere pienamente la gravità del rischio che si vive.
I centri violenza partono proprio da questo tipo di valutazione. In questo modo, grazie alla formazione delle operatrici, delle psicologhe e delle volontarie i centri riescono a offrire percorsi davvero tutelanti per le donne.
Per questo l'appello che faccio a tutte le donne è di rivolgersi sempre ai centri antiviolenza, dove peraltro ci sono uffici legali specializzati che possono agire in modo efficace, ad esempio andando a parlare con il pubblico ministero e allertandolo sulla gravità del caso.
I centri antiviolenza sono i luoghi attrezzati per rispondere ai bisogni delle donne in difficoltà: a volte diamo per scontato che si sappia, ma il caso di Vanessa Ballan, purtroppo, ci insegna che non è così. Quello che dobbiamo fare, allora, è diffondere il più possibile questo messaggio».