La Procura di Viterbo indaga per omicidio volontario in relazione alla morte del 44enne Ruslan Donca, trovato in fin di vita nella sua abitazione di via Bussi e soccorso nel tardo pomeriggio del 2 gennaio. Secondo i suoi coinquilini, tre uomini di origini moldave, si sarebbe accoltellato da solo in bagno. La sua vicenda segue di qualche giorno quella di Rosa D'Ascenzo, uccisa dal marito Giulio Camilli e poi portata, morta, all'ospedale di Civita di Castellana, sempre nel Viterbese.
Donca era arrivato in ospedale in condizioni gravissime. Era il tardo pomeriggio del 2 gennaio scorso. A dare l'allarme, telefonando al 118, era stato uno dei suoi coinquilini di origini moldave, che agli operatori aveva raccontato di averlo trovato in fin di vita con profonde lesioni al collo e all'addome.
Poco dopo il ricovero il 44enne era morto. Per fare luce sull'accaduto la Procura di Viterbo ha ora aperto un fascicolo d'inchiesta per omicidio volontario. L'obiettivo è capire se sia stato ucciso o se, come sostengono gli uomini che vivevano con lui nell'abitazione di via Bussi, si sia inferto da solo i colpi, suicidandosi.
Stando alla loro versione dei fatti, l'uomo si sarebbe accoltellato dopo essersi chiuso in bagno. A fugare ogni dubbio sarà l'autopsia, che il medico-legale incaricato dalla Procura dovrebbe effettuare sul suo corpo già nella giornata di oggi.
Sono diversi gli interrogativi che avvolgono il caso. Tra i tanti, ce n'è uno che, nelle scorse ore, ha catalizzato l'attenzione degli inquirenti: quello relativo alla presunta litigata che il 44enne avrebbe avuto in strada con un uomo, forse il fratello, poco prima che venisse trovato in fin di vita. Ci si chiede se i due eventi non possano essere collegati, se l'uomo morto non possa in realtà essere stato preso di mira per motivi al momento ignoti.
Il primo gennaio la 71enne Rosa D'Ascenzo, originaria di Ponzano Romano, ma residente a Sant'Oreste, in provincia di Roma, era arrivata morta all'ospedale Andosilla di Civita Castellana, fuori Viterbo. Il marito, il 73enne Giulio Camilli, noto come "Capelli impicciati", aveva spiegato ai medici di turno di averla soccorsa dopo una brutta caduta in casa.
Le ferite riscontrate sul suo corpo avevano però indotto i sanitari ad avvisare i militari, che a loro volta si erano messi in contatto con la Procura competente, avanzando il sospetto che la donna, in realtà, fosse stata uccisa. Stando a quanto ricostruito finora, l'uomo l'avrebbe presa a padellate al culmine di una lite. Poi ne avrebbe caricato il corpo esanime in auto, simulando una caduta per cercare di depistare le indagini e allontanare da sé i sospetti.
Dopo tutti gli accertamenti del caso è stato arrestato e trasferito in carcere a Rebibbia. L'accusa mossa nei suoi confronti è di omicidio volontario aggravato. Sembra che fosse già noto ai servizi sociali per le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui, insieme alla moglie, viveva, in un luogo di campagna sperduto non lontano dal Monte Soratte.
Alle spalle non aveva precedenti per violenza, ma, a causa del suo temperamento "litigioso", in passato gli erano stati sequestrati i suoi fucili da caccia. L'ipotesi è che a farlo scattare siano stati i problemi di memoria di cui D'Ascenzo soffriva. Gli esiti dell'autopsia effettuata sul suo corpo saranno resi noti da qui a due mesi, insieme a quelli degli accertamenti condotti sui telefoni cellulari di entrambi, sottoposti a sequestro come la loro abitazione.