Vittima di bullismo per diversi anni durante l'infanzia e l'adolescenza, oggi, a 33 anni, lavora come psicologo clinico all'interno di un'équipe che gestisce traumi adolescenziali. Sebastiano Andrea Massaccesi da un anno sta portando la sua testimonianza nelle scuole, in un progetto che ha ricevuto anche il plauso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Intervistato da TAG24, ha raccontato gli anni bui del bullismo, ma anche la sua rivincita, affinché ciò che ha vissuto sulla propria pelle possa essere d'aiuto agli altri.
Ex modello- lavoro con cui si è pagato gli studi-e finalista di Mister Italia, Sebastiano Massaccesi ripercorre gli anni della scuola secondaria di primo grado frequentata a Recanati, quando inizia a essere preso di mira dai bulli.
"Da piccolo ero taciturno e molto timido. Ho sempre portato i capelli lunghissimi e quindi sono stato preso in giro per questo. Fino ai 13-14 anni sono stato scambiato, sia per i capelli che per un viso molto femminile, per una ragazzina" racconta. "Ero quindi l’obiettivo principale della violenza a scuola.
Il bullismo continua fino alla fine del percorso scolastico: dalle prese in giro fino alle botte. "Inizialmente mi chiamavano 'f****o', 'belli capelli', poi quando vedevano che non reagivo, e trascorrevo più tempo con le ragazze che con i ragazzi, allora rincaravano la dose. Fino ad arrivare ad aspettarmi sotto casa e a picchiarmi.
I bulli erano compagni di classe, ma anche ragazzi più grandi che frequentavano la sua stessa scuola: un gruppo di cui lui desiderava far parte, per non restare solo, nonostante le violenze. Episodi dolorosi dei quali, ammette Sebastiano, non aveva mai informato nessuno, né la famiglia né tantomeno i suoi insegnanti.
"Per lungo tempo, fino all’inizio delle superiori, ho creduto di meritarla tutta quella violenza" sottolinea. "Il mio modo di vestire e i capelli erano la causa di questo dolore, quindi mi sono sempre detto: 'è colpa mia, sono io ad alimentarne la causa'. Non avevo motivo per parlarne con i miei genitori o gli insegnanti: non potevo lamentarmi, perché ero stato io a cercarmela.
Nonostante i numerosi episodi di bullismo, Sebastiano Massaccesi non abbandona la comitiva. "Un giorno, tornando a casa, decido di rasarmi a zero: ero stanco dell’ennesimo pestaggio sotto casa. E quello è stato il momento in cui mi sono reso conto che la vera ragione delle violenze non erano i capelli, dato che poi i bulli hanno comunque continuato a perseguitarmi. Immagina questo bambino alto un metro e sessanta, magrissimo, con un viso femminile, completamente rasato: hanno raddoppiato le botte" sottolinea.
Ma i lividi andavano giustificati. "A me piaceva molto andare in mountain bike, ed effettivamente qualche volta cadevo. La prima volta che mi hanno rotto il naso, rientrando a casa con gli occhi viola, mia madre si è resa conto che forse c’era qualcosa che non andava. E allora le ho raccontato tutto.
Per un po' le violenze cessano. Ma è una tregua momentanea: le botte ricominciano poco dopo e vanno avanti fino alla fine delle medie. Si fermano solo con le scuole superiori, quando Sebastiano decide di frequentare il liceo classico, mentre gli altri ragazzi fanno scelte differenti.
"Non è stato facile staccarmi da quel gruppo: mi sono reso conto, con gli anni, di soffrire di una sorta di 'Sindrome di Stoccolma' (uno stato psicologico in cui si nutrono sentimenti positivi verso i propri aguzzini, ndr) per cui cancellavo dalla memoria anche degli eventi.
"La mia rivincita è arrivata con piccoli step, con un grande lavoro su me stesso: a quel tempo purtroppo però non sapevo cosa fosse uno psicologo o una terapia" sottolinea Sebastiano Massaccesi.
"Poi, grazie all’analisi, da adulto sono riuscito ad avere un completo controllo su quello che è successo e su quello che sono. Quando sono andato a fare psicologia- dopo aver cambiato scuola, dal classico al socio-psico-pedagogico, oggi scienze umane- ho capito che tutto quello che mi è successo ha dato carburante a qualcosa che avevo già dentro di me. Attenzione, non sto dicendo che il bullismo mi abbia fatto bene. Non voglio far passare l’idea che la violenza, in quel momento, ti fortifichi: è successo con me ma avrebbe potuto portare al suicidio un ragazzo più debole di quanto non fossi io" racconta.
Oggi Sebastiano, in veste di psicologo, segue diversi ragazzi vittime di bulli. La domanda ricorrente è: "Come faccio a farli smettere?"
"Purtroppo- e me ne sono reso conto sulla mia pelle, ma lo sto vedendo anche nel mio lavoro- se le violenze iniziano, ciò che si può fare è evitare di avere delle pesanti conseguenze con un aiuto psicologico. Proprio perché sono stato nei panni di un ragazzo bullizzato, so che in quei momenti si innescano meccanismi che possono essere anche masochistici. Dipende solo ed esclusivamente dal bullo decidere di smettere. Quindi bisogna arginare le conseguenze emotive che possono derivare da quella violenza, dando alla vittima tutti gli strumenti necessari per affrontare sensi di colpa o il dolore che si sta provando.
Rispetto a quando lui era bambino, vent'anni fa, oggi cos'è cambiato? "La violenza è molto più psicologica che fisica" sostiene Sebastiano.
Dopo molti anni Sebastiano Massaccesi ha rivisto i bulli che lo avevano perseguitato da bambino. Incontri casuali, ma che gli hanno dimostrato come, per chi provoca dolore agli altri, ci sia comunque la possibilità di "redenzione".
"Ho rivisto uno dei bulli un paio di anni fa in un acquapark. Aveva suo figlio in braccio. In quel periodo avevo iniziato a rilasciare le prime dichiarazioni e le interviste sulla mia storia, avevo iniziato anche a girare nelle scuole per raccontare la mia esperienza. Dopo avermi salutato, mi ha detto di aver letto ciò che avevo dichiarato e di aver pensato mi stessi riferendo anche a lui. "Mi dispiace tantissimo, non pensavo di averti creato così tanti problemi all'epoca, vorrei chiederti scusa" sono state le sue parole.
L'incontro con il bullo che gli aveva rotto il naso, invece, è avvenuto anni prima, quando Sebastiano frequentava ancora l'università. "Ricordo che eravamo al mare, ero con i miei genitori in uno stabilimento e lui lavorava come barista. Non l'avevo riconosciuto: il ricordo che avevo di lui era di un omone, invece era rimasto come da ragazzino, neanche un metro e settanta di altezza. Nella mia mente era enorme, e invece mi arrivava quasi alla spalla e aveva i capelli lunghissimi. 'In questi anni ho pensato tantissimo a quello che ti ho fatto e vorrei sapere se puoi perdonarmi' mi ha detto. Mi piace pensare che la maggior parte delle persone, se fa soffrire qualcuno, faccia i conti con se stesso, in un modo o nell'altro.