Ci sono casi di omicidio che, per le modalità con le quali vengono commessi o per i loro sviluppi giudiziari, restano impressi nella mente. Casi di omicidio che scuotono l’opinione pubblica. Come quello di Marco Vannini, il ventenne originario di Cerveteri ucciso da un colpo di pistola a casa della fidanzata Martina Ciontoli nel maggio del 2016. Un caso che si è concluso con la condanna in via definitiva di tutti gli imputati, ma attorno a cui ruotano, ancora oggi, molte domande.
Sono le 23.41 del 17 maggio 2016 e al 118 di Roma giunge una telefonata. A parlare con l’operatrice è Federico Ciontoli. Mi serve urgentemente un’ambulanza a Ladispoli, dice, un ragazzo si è sentito male, è diventato troppo bianco e non respira più, ma non riesce a spiegare cosa gli sia successo.
Poi è la madre Maria Pezzillo ad intervenire. Il ragazzo stava facendo il bagno, stava nella vasca, è entrato…, dice. E si ferma, di botto. Si è ripreso, nel caso richiamiamo, conclude, facendo capire di non aver più bisogno dell’intervento di un’ambulanza.
È una telefonata strana. Dal 118 non capiscono. Non sanno che circa 35 minuti prima Marco Vannini, di 20 anni, è stato colpito da un proiettile. È lui il ragazzo di cui Ciontoli e Pezzillo parlano, il ragazzo che, a loro dire, si è solo preso un brutto spavento in seguito a uno stupido scherzo.
Originario di Cerveteri, Vannini aveva da poco terminato il liceo scientifico e lavorava stagionalmente come bagnino. Il padre di Federico, Antonio Ciontoli, sottoufficiale della Marina distaccato ai servizi segreti, lo aveva aiutato a compilare i moduli per accedere al concorso dei VFP1: voleva partire come volontario nell’esercito.
Solo che per due volte era stato escluso perché i moduli erano stati compilati nel modo sbagliato, così lui si era rivolto allo zio Roberto Carlini, ex carabiniere, facendosi consigliare all’insaputa di Ciontoli. Da tre anni era fidanzato con la figlia, Martina. La sera del 17 maggio aveva cenato a casa loro con la madre, il fratello e la fidanzata Viola Giorgini. Ai genitori Marina e Valerio aveva detto che, come faceva spesso, avrebbe dormito lì.
Alle 00.06 della stessa sera un’altra telefonata giunge al 118 da casa Ciontoli. Questa volta a parlare è il capofamiglia, Antonio. C’è un’emergenza in via Alcide De Gasperi, a Ladispoli. Un ragazzo di 20 anni ha avuto un infortunio in vasca, è caduto e si è bucato un pochino con un pettine a punta sul braccio, dice all’operatrice, sostenendo che non si sia fatto niente, ma che sia andato in panico.
In sottofondo, intanto, si sentono le urla strazianti di Marco: colpendolo, il proiettile, sparato da una Beretta semiautomatica calibro 9 in possesso di Ciontoli, gli aveva trapassato il braccio sinistro, entrando prima nell’emitorace, poi nel polmone e infine nel pericardio, la membrana che protegge il cuore. La pallottola era ancora lì, sottocute.
Alle 00.40 Maria Pezzillo si mette per la prima volta in contatto con i suoi genitori, spiegandogli che è caduto dalle scale e dandogli appuntamento al Pit, il presidio integrato territoriale, il posto di primo intervento di Ladispoli, dove l’ambulanza avrebbe portato il giovane dopo averlo soccorso, alle 00.24. Agli operatori Marco riesce a dire soltanto che gli fa male tutto.
Quando arriva in barella al Pit i suoi genitori sono già lì. Federico Ciontoli intercetta il padre e gli dice: A papà è partito un colpo mentre puliva la pistola, lo ha preso di striscio. Intanto Antonio Ciontoli ha raggiunto il dottore di turno, Daniele Matera, confessandogli l’accaduto e chiedendogli di mantenerlo segreto, in modo da non perdere il posto di lavoro. Con loro c’è anche Maria Pezzillo. Martina Ciontoli e Viola Giorgini arrivano almeno venti minuti più tardi.
A quel punto la situazione si complica. Il dottore e gli infermieri capiscono che Marco va portato in ospedale. Viene chiamata un’eliambulanza. I genitori partono e raggiungono il Policlinico Gemelli. Al loro arrivo qualcuno però dice loro che per due volte l’elicottero si è alzato ed è tornato a terra, che alla fine non è più partito perché il ragazzo ha avuto due arresti cardiaci.
Marina e Valerio, accompagnati dallo zio di Marco, Roberto, tornano al Pit e scoprono che Marco attorno alle 3 è morto: non ce l’ha fatta. La perizia medico-legale dirà che era sopravvissuto per un consistente lasso temporale dopo il ferimento e che il decesso era sopraggiunto in seguito a uno shock emorragico, senza che le sue funzioni cardiache venissero compromesse dal proiettile.
Ciò che si sottintende è che se fosse stato aiutato per tempo, avrebbe potuto salvarsi e forse oggi sarebbe ancora vivo.
Quando i carabinieri di Civitavecchia arrivano a casa Ciontoli, 30 minuti dopo la morte di Marco Vannini, la pistola da cui è partito il colpo che l’ha ucciso e la scena del crimine sono già state ripulite. Il sopralluogo che fanno è sommario, dura appena sei ore e non include l’uso del luminol, che permette di rintracciare eventuali macchie di sangue. Non basta a chiarire le dinamiche dell’accaduto.
Immediatamente viene presa per buona la pista dell’incidente, del colpo partito accidentalmente. E quando tre membri della famiglia vengono sottoposti allo Stub, il test che serve a individuare le tracce residue di polvere da sparo sulle mani di una persona, sono già passate nove o dieci ore dai fatti, per cui i risultati sono inattendibili.
Su Antonio Ciontoli vengono trovate, comunque, 42 particelle. Su Federico Ciontoli 87. Entrambi sono in caserma quando, il 18 maggio 2016, vengono intercettati mentre, insieme a Martina Ciontoli, a Maria Pezzillo e a Viola Giorgini concordano cosa raccontare agli inquirenti che di lì a poco li avrebbero ascoltati.
Più volte cambiano versione. Parlano di una caduta dalle scale, poi di un attacco di panico accusato da Marco Vannini in seguito a uno scherzo. Sostengono che il giovane sia caduto mentre faceva il bagno nella vasca di casa Ciontoli, che sia scivolato inavvertitamente, ferendosi con un pettine a punta. Poi dicono che è stato raggiunto di striscio da un colpo di pistola partito ad Antonio Ciontoli.
La versione finale è questa. Ciontoli ammette di aver colpito Marco mentre stava facendo il bagno nella vasca, dopo essere entrato per riprendere le pistole che aveva lavato in vista di un’esercitazione di tiro che si sarebbe tenuta l’indomani e che aveva lasciato nella scarpiera. Dice che ha preso una delle due e ha fatto finta di sparare, perché era convinto che fosse scarica. Uno stupido scherzo, che però era finito in tragedia.
Martina e Federico sostengono di essere accorsi immediatamente dopo aver sentito lo sparo, ma di aver creduto al padre, che aveva parlato loro di un colpo d’aria, come se dalla pistola non fosse uscito alcun proiettile. È la versione sulla base della quale tutti i membri della famiglia sono stati rinviati a giudizio, processati e condannati.
Una versione che però, secondo i familiari di Marco, fa acqua da tutte le parti. Marina e Valerio si chiedono come sia possibile che Ciontoli sia entrato in bagno nonostante loro figlio si stesse lavando e come abbia fatto a non rendersi conto che l’arma che impugnava era carica visto che è un militare. Si chiedono se piuttosto Marco non sia stato colpito volontariamente, ipotizzando che avesse litigato con Martina, come accadeva sempre più spesso.
Intercettata al telefono con un’amica, Viola Giorgini aveva raccontato, in fin dei conti, di aver visto le pistole di Ciontoli sul divano. Poi c’è la testimonianza dei vicini di casa, che hanno sempre riferito di aver sentito distintamente una litigata, poi lo sparo e i lamenti di Marco, che continuava a ripetere – come aveva riferito agli inquirenti anche il dottor Matera –: Scusa Marty, scusa Marty.
Il 14 aprile 2018 la Corte d’Assise di Roma giudica Antonio Ciontoli colpevole di omicidio volontario, i figli Martina e Federico e la moglie Maria di omicidio colposo e li condanna, rispettivamente, a 14 anni e 3 anni di carcere.
Poco meno di un anno dopo, il 29 gennaio 2019, i giudici d’Appello cambiano idea, condannando Ciontoli a 5 anni per omicidio colposo e confermando la precedente condanna a 3 anni per i restanti membri della sua famiglia.
I familiari di Marco Vannini ricorrono in Cassazione. Il 7 febbraio 2020 la procuratrice Elisabetta Ceniccola, condividendo la tesi dell’accusa e delle parti civili, sollecita l’annullamento della precedente sentenza, rinviando gli atti del processo in Appello.
Sulla base delle motivazioni della Cassazione – che mettono in evidenza come la morte di Vannini sia stata una conseguenza delle lesioni causate dal colpo di pistola e dall’omissione di soccorso –, al termine del processo d’Appello-bis i giudici ripristinano la condanna a 14 anni per Antonio Ciontoli.
Lo riconoscono colpevole di omicidio volontario con dolo eventuale. Ritengono cioè che abbia agito accettando il fatto che la sua azione potesse avere come conseguenza un reato. I figli e la moglie vengono invece condannati a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio.
Condanne che al termine del secondo processo in Cassazione sono diventate definitive. L’unica modifica apportata dai giudici riguarda la specificazione del reato commesso da Martina e Federico Ciontoli e da Maria Pezzillo, riconosciuti colpevoli di concorso semplice attenuato dal minimo ruolo e apporto causale. Tutti e quattro si trovano a Rebibbia. Viola Giorgini, che era con loro la notte in cui Marco è morto, era stata rinviata a giudizio con la sola accusa di omissione di soccorso, ma è sempre stata assolta.
Se ne è parlato a "Crimini e criminologia" su Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre) in questa puntata.