Il risultato delle elezioni in Sardegna consegna l'amministrazione dell'isola nelle mani di Alessandra Todde. Con il 45.3% - e uno spoglio dei voti sul fotofinish - la candidata del Movimento 5 Stelle e del Partito democratico è riuscita a imporsi sul candidato del centrodestra, l'ex sindaco di Cagliari Paolo Truzzo, riportando il centrosinistra alla guida dalla regione e dando uno scossone al panorama politico.
La vittoria di Todde, infatti, costringe tanto i vinti quanto i vincitori di questa tornata elettorale a una riflessione. Se il centrodestra di Governo dovrà infatti stemperare le tensioni causate dall'imposizione di Truzzu da parte di Meloni - a scapito del governatore uscente Christian Solinas, in quota Lega - il cosiddetto campo progressista potrà riflettere sull'opportunità di lavorare più tenacemente alla costruzione di uno schieramento alternativo che possa essere realmente competitivo nelle prossime elezioni amministrative e politiche. A patto, ovviamente, di superare i piccoli distingui e veti che fino ad oggi hanno prevalso.
Che il risultato delle elezioni in Sardegna dia forza a una nuova prospettiva di campo largo è indubbio: per raggiungere l'obiettivo, tuttavia, serve che le forze progressiste - Partito democratico e Cinque Stelle - imparino a lavorare insieme con «generosità, coerenza, e competenza», come spiega a TAG24 Arturo Scotto, deputato del Partito democratico.
Onorevole Scotto, cosa emerge dalla vittoria di Alessandra Todde in Sardegna?
«Il primo dato politico che emerge, in maniera inequivocabile, è che a governare male si paga un prezzo. Dopo cinque anni di amministrazione Solinas la Sardegna è scivolata in basso in tutti gli indicatori: istruzione, sanità, lavoro, povertà, politiche industriali e trasporti. Lo stesso centrodestra si è reso conto di questa situazione, tanto che ha scelto di cambiare il candidato in corsa, con una mossa direi molto arrogante della presidente del Consiglio nei confronti non solo degli alleati ma anche delle comunità locali. Le operazioni centralistiche, in Sardegna come in qualsiasi altra regione, non funzionano.
Il secondo dato riguarda la qualità della candidatura messa in campo dal centrosinistra, con una figura molto competente, legata alla realtà sarda e soprattutto capace di allargare il consenso, come testimoniano i voti personali ottenuti dalla Todde.
Dalle elezioni sarde traiamo una lezione oggettiva: stare uniti conviene e dà la possibilità di sbarrare la strada a una destra che assume, giorno dopo giorno, caratteristiche sempre più pericolose sul piano politico e democratico. Il voto in Sardegna dimostrano che gli italiani non amano i manganelli».
La vittoria in Sardegna dimostra che gli elettori si riconoscono in una proposta unitaria Pd-5S più di quanto non facciano gli stessi partiti, spesso occupati a rimarcare i distingui?
«La mia lettura è proprio questa. La stessa Todde in campagna elettorale è stata criticata quando ha definito la nostra coalizione come antifascista. Ma l'antifascismo non è uno slogan di nostalgici: è un programma per il diritto al lavoro, per il diritto alla salute e il diritto all'istruzione, con una precisa idea di società e di giustizia che viene prima delle prepotenze del mercato.
Credo che il presentarsi come una coalizione che punta a difendere i valori della Costituzione antifascista abbia pesato nel voto sardo. Sono questi gli elementi che uniscono l'elettorato, ancor prima dei partiti. Ecco perché ritengo che questa indicazione debba esser tenuta ben presente nei prossimi mesi. Bisogna far qualsiasi cosa per evitare frantumazioni che avvantaggino la destra».
La neopresidente Todde ha detto di aver percepito il risveglio di una parte di elettorato dopo i fatti di Pisa. Condivide questa affermazione?
«Io credo che la vicenda di Pisa sia uno spartiacque nella qualità delle relazioni tra maggioranza e opposizione. Mi ha colpito molto che, dopo il richiamo molto duro arrivato da parte del capo dello Stato nei confronti del ministro Piantedosi, il partito di maggioranza relativa abbia trovato l'occasione di dire che le responsabilità dei fatti erano della sinistra che spalleggia i cortei violenti. Parole sconvolgenti, quasi un'accusa di sovversione.
Per questo dico alla destra: anche meno. Meloni deve richiamare i suoi a relazioni corrette tra maggioranza e opposizione perché qui nessuno vuole aprire una stagione di conflitto politico in grado di degenerare. Trovo preoccupante l'idea punitiva che la destra italiana ha nei confronti di chi non è d'accordo con le azioni di questo Governo».
Cosa pensa delle parole di Calenda, il quale ha fatto una prima ammissione sulla necessità di cambiare strategia, aprendo al dialogo con Conte?
«Io credo che la generosità, in politica, paghi sempre. È questo il messaggio che viene dal primo anno di segreteria di Elly Schlein. La segretaria ha lavorato per rafforzare il Pd e la sua identità, rimettendo i piedi nelle contraddizioni della società e tornando a parlare con il mondo del lavoro, con cui da anni si era consumata una frattura.
Dall'altro lato, la Schlein ha messo in conto che per costruire un'alternativa si debbano fare delle rinunce rispetto alla propria dimensione identitaria. La segretaria del Pd ha dato prova di essere unitaria per due: spero che i potenziali alleati facciano altrettanto.
Per quanto riguarda Calenda, è chiaro che, con una destra così corporativa che ha dentro di sé un germe autoritario, non possa esistere lo spazio del Terzo polo ma si debba costruire un fronte largo e alternativo. La battaglia che abbiamo fatto sul salario minimo dimostra come sia possibile mettere in difficoltà la destra. Se Calenda sta rivedendo le sue posizioni è un fatto certamente positivo».
Quando dice che la segretaria ha dato prova di essere unitaria per due a chi si riferisce? A Conte?
«A tutti i potenziali alleati».