Far arrivare medici e infermieri dal Sudamerica in Italia è la soluzione proposta dall'assessore al Welfare, Guido Bertolaso, per sopperire alla mancanza di personale sanitario nel nostro Paese. Una situazione delicata e molto complessa, riscontrata soprattutto nella Regione Lombardia.
Bisogna far fronte a quest'esigenza, per garantire migliori standard di funzionamento del servizio sanitario nazionale, in sovraccarico dagli anni precedenti e praticamente ridotto in ginocchio nell'ultimo periodo, soprattutto dopo il Covid.
Le fila di medici e infermieri impegnati in prima linea negli ospedali, sono sempre più ridotte, sia a causa della problematica riguardante l'accesso a numero chiuso nelle università, ma anche per l'esodo dei professionisti verso l'estero, in cerca di condizioni contrattuali più favorevoli.
Per approfondire meglio la questione, Tag24 ha intervistato Rocco Imerti, segretario organizzativo regionale Lombardia Sindacato Medici Italiani (SMI).
D: Siamo davanti ad una profonda carenza di personale medico e infermieristico in Italia, soprattutto in regioni come la Lombardia. Può spiegarci perché e qual è la situazione attuale?
R: I motivi sono molteplici e partono da lontano. Ai tempi in cui io andavo all’università (mi sono laureato a metà degli anni Novanta) già si parlava di questo problema ed erano state fornite delle date su eventuali crisi del sistema. Il 2015 veniva visto come data di un bug: in quell'anno ci sarebbe stato un calo di medici e del personale sanitario che avrebbe creato una crisi.
Poi il 2015 è arrivato ma nel frattempo non è stato fatto nulla. L’arrivo del Covid negli anni scorsi poi ha scoperchiato tanti altri problemi e ha fatto venire alla luce la carenza di personale. C’è anche un altro discorso: le facoltà di medicina a numero chiuso. Sono state istituite verso la fine degli anni Ottanta, prima di quel tempo c’era una sovrabbondanza di gente che si presentava nelle università. Erano davvero tantissimi.
Allora pian piano si è ridotto questo numero chiuso, si è passato dai mille del primo anno fin a scendere addirittura a 100 unità. C’è da tenere in considerazione che di questi cento che si iscrivevano, non tutti poi arrivavano alla laurea, o almeno non ci arrivavano in sei anni, per cui è chiaro che si è creata una carenza.
Adesso si cerca di contrastare il fenomeno andando nella direzione opposta, però ci sono dei tempi da tenere in considerazione perché una persona che si iscrive a medicina fa sei anni di corso di laurea, poi come minimo altri tre anni sono investiti in un corso di formazione per medicina generale o quattro per un’altra specializzazione. Alla fine il conto arriva a dieci anni totali, quindi è chiaro che i risultati del percorso si vedranno dopo una decade.
Rocco Imerti poi continua parlando del malfunzionamento del sistema causato da chi è ai vertici del potere e amministra lo Stato. Poi aggiunge che i medici in Italia sono oberati dalla burocrazia.
"C'è stata un po' una cattiva organizzazione da parte di chi ci governa e ci amministra. C'è da aggiungere un altro fattore, se oggi andiamo a vedere i numeri dei medici rispetto ad altre nazioni europee - parliamo di Germania, Francia, Inghilterra - che sono quelle più equiparabili all’Italia come grandezza e come densità di popolazione, gli italiani non sono sotto numero per il personale sanitario, in particolare quello medico.
C’è un cattivo utilizzo delle risorse e questo io lo dico da molto tempo. Se un medico viene impiegato per svolgere la burocrazia, anche di bassa lega, per le questioni più banali, è chiaro che poi serve più personale. Se invece viene usato per compiere affari strettamente clinici o medici, sarà capace di gestire molti più pazienti.
Per fare un esempio pratico pensiamo alla Spagna, dove esiste il medico di quartiere. Una zona dispone di un medico che gestisce un numero di persone molto elevato. Ovviamente a piramide sotto di lui può contare su altro personale, da quello più tecnico, quindi infermieri, fisioterapisti, e altro, fino quello più amministrativo (impiegato in mansioni di segreteria).
Questo è un problema da non sottovalutare, perché incide anche sulla vocazione di chi oggi vuole fare il medico. La frase: ‘Lascia stare, non fare il medico perché andrai a fare il burocrate’ si sente molto di frequente purtroppo.
D: Anche l’aspetto economico è importante. I contratti in Italia non sembrano molto vantaggiosi se guardiamo all’esodo dei professionisti verso l’estero. Svizzera, Arabia Saudita…Come si ferma questa tendenza?
R: Non ci sono incentivi dal punto di vista economico. Il problema anche qui si fronteggia con una migliore organizzazione, con una razionalizzazione. Qui in Italia nelle aziende ospedaliere o sanitarie troviamo più personale amministrativo rispetto a quello tecnico. E’ come se alla Fiat ci fossero più impiegati che operai. È chiaro che il sistema non reggerebbe.
Purtroppo la politica ha causato anche questo negli ultimi anni: la natura del problema è soprattutto organizzativa. Bisogna dare più spazio alle risorse per la sanità anche per quanto riguarda proprio gli stipendi del personale sanitario, perché sono veramente ridotti all'osso.
D: Guido Bertolaso ha intenzione di assumere ingenti unità di infermieri e medici che provengono dal Sudamerica. Parliamo di cifre importanti. E’ la scelta giusta per sopperire alla mancanza di personale in Italia?
R: Il mercato del personale si è sempre un po’ autogestito, è sempre stato regolato dalla domanda e dall'offerta. Per quanto riguarda i professionisti della sanità è un processo iniziato decenni fa. Ricordo che c'è stato un periodo di infermieri provenienti prima dalla Spagna, poi dalla Romania, dall’Argentina.
Questi sono normali movimenti della popolazione, date anche dal mercato, in base a dove c'è maggiore ricchezza. Anche qui però c’è bisogno di organizzazione. Non si può pensare di dire: ‘Ci mancano gli infermieri quindi vado a prenderli in Argentina, o i medici da Cuba come in Calabria'.
Questi sono tappabuchi che però non risolvono il problema alla base. Quando questi medici e infermieri magari si stancheranno di stare in Italia, poi cosa si fa? Saremo costretti a prenderne altri e nel frattempo le cose cambiano, mutano le volontà, le convenienze economiche.
D: Hanno le stesse competenze dei professionisti italiani? E’ una decisione conveniente a livello di investimento di tempi e risorse?
R: La premessa dovrebbe essere che questi medici e infermieri che vengono dall'estero abbiano le stesse competenze di quelli italiani. Non sappiamo in concreto quale sia il loro tipo di professionalità. Allo stesso tempo qui investiamo tempo e denaro per educare e formare il nostro personale che invece, per tutta una serie di motivi, va via.
Qui in Lombardia c’è un esodo in Svizzera: è vicinissima e offrono contratti d’oro. Quindi succede che lo Stato perde i nostri lavoratori, dotati di professionalità e capacità tecniche che conosciamo perfettamente – perché li abbiamo formati noi – e invece li vediamo fuggire.