Gli inizi degli anni 90 scuotono il nostro Paese tra terremoti politici e giudiziari e il terrore degli attentati, della mafia contro i magistrati. Pur essendo uno dei volti principali di questo spaccato di storia, Antonio Di Pietro non pecca mai di protagonismo. Intervenuto nella trasmissione "Che rimanga tra noi" di Radio Cusano Italia condotta da Francesca Pierri, Alessio Moriggi e Jessica Selassiè, l'ex magistrato ha detto :"Io non sono un fenomeno, Tangentopoli era un tumore e io facevo quel mestiere lì, dovevamo rimuoverlo. Purtroppo la povera Italia si è messa a bere e a fumare di nuovo ed è tornata ad ammalarsi".
Se gli chiedi se senza Mani Pulite l'Italia oggi sarebbe la stessa, ti risponde col suo concetto di legge: "Un magistrato interviene sempre il giorno dopo che è successo qualcosa. Bisognerebbe convincere la gente che rispettare la legge conviene, non che se provi a non farlo probabilmente non la paghi".
Il 1992 fu l'anno della strage di Capaci e Di Pietro ricorda la centralità di Falcone tra gli obiettivi di cosa nostra: "Falcone era in pericolo per quel che era successo col maxi processo e per il ruolo che gli aveva voluto fortemente assegnare l'allora ministro Martelli".
La chiosa di Antonio Di Pietro è sul ricordo amaro dei suoi anni 90, ancora legato al suo lavoro e alle conseguenze che ha prodotto: "La tristezza è legata a chi, durante quel periodo, decise di suicidarsi in carcere. Non potevamo fare altrimenti, non avremmo potuto svolgere il nostro mestiere, anche se questo non mi toglie l'amarezza di essere stato la motivazione per cui tutto è avvenuto".
Poi il rammarico di non aver finito l'opera, di aver scalato la montagna senza raggiungere la cima, di essere stato fermato "perché si ricordi, un magistrato che vuol fare il suo dovere, grazie alla Costituzione, nel nostro Paese ha un potere enorme ma può essere fermato solo in due modi: con un quintale di tritolo o da un altro magistrato".