Nel mese di aprile 2009, la società Cas.Di.T. s.r.l., insieme ai fideiussori Giovanni e Gaetano Casillo, Antonietta Busiello e Angela Bianco, ha intentato una causa contro il Banco di Napoli. Gli attori chiedevano la restituzione di somme che ritenevano indebitamente versate a causa dell'illegittima applicazione di interessi sui conti correnti bancari della società. Il Banco di Napoli, opponendosi alla richiesta, ha eccepito la prescrizione della pretesa.
Il Tribunale di Napoli, dopo aver esaminato una consulenza tecnica d’ufficio (CTU), ha dichiarato cessata la materia del contendere per le domande della società, che nel frattempo era stata cancellata dal registro delle imprese. Tuttavia, ha respinto le domande dei fideiussori.
La Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’impugnazione della società, poiché questa era stata cancellata dal registro delle imprese dal 26 febbraio 2016. La Corte ha condannato il Banco di Napoli al pagamento di 456.746,48 euro a favore di Giovanni Casillo, quale socio unico della società estinta. Quindi, la domanda dei fideiussori è stata dichiarata assorbita.
La condanna si basa su vari argomenti:
Intesa Sanpaolo s.p.a., incorporante il Banco di Napoli, ha presentato ricorso per cassazione, articolando tre motivi principali:
I fideiussori hanno replicato con un ricorso incidentale condizionato, sostenendo la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia, poiché la Corte d’appello non ha accolto la domanda di accertamento negativo del conto.
La Cassazione ha esaminato il secondo motivo del ricorso principale, che ha evidenziato una divaricazione di indirizzi giurisprudenziali sulla rinuncia tacita dei crediti non compresi nel bilancio finale di liquidazione delle società estinte.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che, con l’estinzione della società, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità, esclusi i crediti incerti o illiquidi. La mancata inclusione di questi nel bilancio di liquidazione può essere considerata come una rinuncia da parte della società.
La Cassazione ha accolto in parte il ricorso principale, affermando che la Corte d’appello ha erroneamente considerato come liquidati e definiti i diritti di credito in questione, e ha trascurato la necessità di verificare se tali crediti fossero inclusi nel bilancio finale di liquidazione. La decisione della Corte d’appello è stata dunque in parte cassata, e la causa è stata rinviata per un nuovo esame.
Secondo l'orientamento della Cassazione, l'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, se avvenuta durante un giudizio pendente, non trasferisce automaticamente ai soci la corrispondente azione legale. Questo principio è stato chiaramente espresso nella sentenza Cass. Sez. 1 n. 25974-15, la quale afferma che il fenomeno successorio riguarda esclusivamente i rapporti giuridici ancora in essere, non includendo le pretese azionate in giudizio e i crediti incerti o illiquidi.
La questione della presunzione di rinuncia alle pretese è stata ulteriormente approfondita in altre sentenze. La Cassazione, Sez. 3 n. 15782-16, ha stabilito che la cancellazione volontaria di una società in pendenza di un giudizio comporta la presunzione di rinuncia alla pretesa, qualora il liquidatore non si sia attivato per determinare il credito. Questo implica che i soci non sono legittimati a impugnare la sentenza d'appello che abbia rigettato la pretesa.
Non tutte le sentenze della Cassazione hanno condiviso integralmente questo approccio. Sentenze successive, come Cass. Sez. 1 n. 9464-20 e Cass. Sez. 6-1 n. 30075-20, hanno sostenuto che la cancellazione della società non implica automaticamente la rinuncia alla pretesa azionata. Queste sentenze affermano che, salvo un comportamento concludente del creditore che indichi la remissione del debito, il credito controverso non può essere considerato rinunciato.