I lavoratori dipendenti, durante l’esercizio della propria attività, hanno diritto ad un periodo di riposo intermedio, la pausa pranzo che, in alcuni casi specifici, diventa obbligatoria.
La pausa pranzo rappresenta un momento di socialità utile per recuperare le energie, staccando per un periodo di durata definita e variabile dal lavoro. Infatti, alcune aziende, soprattutto quelle medio-grandi, dispongono di mense aziendali proprio per rendere più comodo e agevole (ma anche piacevole) lo svago.
Quando la pausa pranzo è obbligatoria? Uno sguardo d’insieme alla disciplina, vediamo quando questo periodo di riposo intermedio è obbligatorio, come funziona e, infine, parliamo della durata e dei casi specifici.
Durante una giornata di lavoro i lavoratori hanno diritto ad alcune pause. La pausa pranzo è resa obbligatoria dal Dlgs n. 66/2003 per i lavoratori con contratti di lavoro che prevedono un monte orario giornaliero di oltre 6 ore consecutive.
L’obiettivo è quello di permettere ai lavoratori di recupere le energie, oltre che attenuare il lavoro ripetitivo e monotono. Rappresenta, al contempo, un momento di socialità che, per i lavoratori, deve essere il più piacevole possibile.
Infatti, molto spesso, i lavoratori della stessa azienda vanno a pranzo insieme. Proprio per questo motivo, le aziende dispongono della mensa oppure stipulano speciali convenzioni con ristoranti situati nelle immediate vicinanze.
Le informazioni relative alla disciplina del riposo intermedio si trovano al CAPO II dell’articolo 8. Elencando i vari punti, ecco cosa sapere:
I datori di lavoro possono chiedere ai lavoratori dipendenti in pausa pranzo di segnalare l’orario di inizio e di fine della pausa oppure di timbrare il cartellino. In alternativa, sono anche utili i sistemi di rilevazione presenze aziendali.
Nell’elenco di cui sopra, abbiamo fatto un breve cenno alla durata della pausa pranzo obbligatoria. È il caso di entrare più nello specifico e chiarire qualsiasi aspetto o fonte di dubbio sulla durata.
Il minimo non può essere mai inferiore a 10 minuti: in linea di massima, i contratti stabiliscono sempre (o quasi) un periodo più lungo. Quello di 10 minuti è un limite davvero indicativo, in quanto insufficiente per garantire il consumo di un pasto.
In ogni caso, i datori di lavoro devono sempre far riferimento al contratto collettivo di riferimento, ma soprattutto dovrebbero fare in modo che i lavoratori abbiano il tempo a disposizione necessario per pranzare e per socializzare.
Quanto può durare la pausa pranzo? La legge non solo stabilisce una durata minima, ma anche una durata massima pari a 2 ore. Solitamente, le aziende concedono da 1 ora a 1 ora e mezza.
Si devono considerare anche altri aspetti. Quando le aziende hanno una mensa interna, la durata può essere anche inferiore. Invece, nel caso di situazioni in cui i lavoratori devono spostarsi, allora la pausa, per ovvi motivi, può avere una durata maggiore.
Le pause pranzo possono prevedere una retribuzione, ma anche no. Quelli retribuite sono:
Ci sono anche pause non retribuite e tra queste figura la pausa pranzo, a meno di diverse disposizioni previste nei contratti collettivi di lavoro.