Una fuga che grida vendetta. Non c'è niente da fare, Carlo Calenda proprio non li manda giù gli addii da Azione, il partito che ha fondato con tanto sacrificio e abnegazione con l'idea di formare un centro solido e duratura che, al momento, non ha portato a granché, soprattutto dal punto di vista politico.
Le fughe da Azione che nelle ultimissime ore ha visto andare via gente del calibro di Costa, Carfagna, Gelmini e Versace non riesce a digerirle e, ospite da Otto e Mezzo su La7, rincara la dose e ci ritorna sopra, dando la netta sensazione di avere più di un certo rancore.
Il numero uno del partito, ammette alcuni errori, e già questa è una grande notizia, visto da quanto tempo fa politica e soprattutto come la mette in pratica, e così fa mea culpa, dicendo che crede "di aver sbagliato ad aprire le porte del partito a persone che in quel momento non avevano un partito che le candidava. Lo ho fatto perché in quel periodo sostenevano Draghi".
Il numero uno di Azione cerca di dare delle risposte durante la puntata in televisione, anche perché quanto è successo, è stato senza dubbio clamoroso, considerato che gli addii sono stati rapidi e molto dolorosi, soprattutto per come sono avvenuti, tutti in sequenza, tutti insieme come a dire che non c'è gran fiducia anzi, praticamente nessuna, nei confronti di Carlo Calenda. E forse è proprio questa la cosa che soffre più di tutte.
L'ex candidato sindaco di Roma non si tira indietro e va avanti raccontando che "nelle ultime settimane è iniziato un balletto di retroscena. Non sono andate via a causa del campo largo ma perché ritengono che la nostra posizione centrale sia difficile da mantenere dopo le europee. Certo è che passano dall’opposizione alla maggioranza avendo votato per mezza legislatura contro i provvedimenti del governo e dicendone peste e corna".
Ed è proprio da questo tipo di posizione e di atteggiamento che ci dovrebbe essere una riflessione seria e attenta da parte dello stesso Calenda. Riconosce di aver sbagliato a fare alcune scelte, come quella di allearsi con Renzi, ma anche di aver appoggiato alcune situazioni del governo Meloni perché, dice sempre lui, "ci sono state scelte giuste come aver tolto il Superbonus da parte della Meloni", ma allo stesso tempo se alcuni esponenti del partito hanno deciso di lasciare, qualcosa non va, e non è certo di poco conto.
Di solito quanto avvengono queste cose, un segretario dovrebbe fare delle riflessioni su se stesso, anche per avere più credibilità davanti alle persone che l'hanno votato o che anche vorrebbero votarlo, ma Carlo Calenda spiega: "Ogni volta che c’è una sconfitta elettorale c’è la leadership viene messa in discussione. Dopo le europee ho riunito tutta la direzione, che mi ha chiesto di restare. Abbiamo fatto errori ma il progetto politico non è finito: Azione va avanti".
Tutto giusto, ma è anche vero che dalle Europee sono passati mesi e questa è tutt'altra storia, anche perché i calibri grossi che erano arrivati da poco, se ne sono già andati e il leader del partito dovrebbe essere il primo a mettersi in discussione, magari convocando un consiglio o un'assemblea che decida il da farsi e se è ancora necessario dare fiducia al numero uno. E chissà che Calenda non sia proprio lui il primo a fare il passo e decidere di dimettersi per poi attendere che la fiducia arrivi da chi è rimasto all'interno del partito.