La Procura Generale presso la Corte d'Appello di Roma impugnerà in Cassazione la sentenza con cui lo scorso luglio l'ex comandante dei carabinieri di Arce Franco Mottola, la moglie Annamaria, il figlio Marco e i due colleghi Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano sono stati assolti dall'accusa di essere coinvolti nell'omicidio della studentessa 18enne Serena Mollicone, trovata morta il 3 giugno 2001 nel Frusinate. A renderlo noto, nella mattinata di oggi, 4 novembre 2024, il pg Giuseppe Amato.
le parole affidate ai giornalisti dal magistrato, intercettato nel corso di una visita al Palazzo di Giustizia di Cassino. Lo fa sapere l'Ansa, che cita, tra i motivi a cui Amato fa riferimento, "la mancata audizione di un testimone che non venne convocato per una questione procedurale".
Saranno quattro, in totale, secondo quanto anticipato dal pg, i "punti sui quali chiedere l'intervento della Suprema Corte in punto di procedura". Per saperne di più bisognerà aspettare l'impugnazione vera e propria.
La sentenza della Corte d'Appello di Roma è stata letta in aula lo scorso 12 luglio. A due anni dalla sentenza di primo grado, emessa nel luglio 2022, i giudici di secondo grado hanno confermato, in pratica, l'assoluzione di tutti gli imputati per "mancanza di prove".
Si parla dell'ex comandante dei carabinieri di Arce Franco Mottola, della moglie Annamaria, del figlio Marco e dei due colleghi Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano, accusati di essere coinvolti - a vario titolo - nell'omicidio di Serena Mollicone.
L'accusa aveva chiesto 24, 22 e 21 anni per i Mottola e 4 anni per Suprano; per Quatrale, invece, l'assoluzione. "Sono molto amareggiata. Questa non è giustizia", le dichiarazioni rilasciate a caldo dalla sorella della vittima, Consuelo, che al pari degli altri familiari della 18enne sperava in una conclusione diversa.
Soddisfatta, ovviamente, la difesa, che più volte, in questi anni, ha definito "l'impianto accusatorio" inconsistente.
Serena Mollicone fu trovata morta, con la testa avvolta in un sacchetto di plastica, in un boschetto di Fonte Cupa ad Anitrella, una frazione di Monte San Giovanni Campano, nel Frusinate, due giorni dopo la sua scomparsa, datata primo giugno 2001.
Fu subito chiaro a tutti che era stata uccisa. Le indagini partirono serrate, concentrandosi dapprima sul carrozziere Carmine Belli - che fu arrestato, incarcerato e poi prosciolto da ogni accusa -, poi su altre persone. Fondamentale, in tal senso, la testimonianza del brigadiere Santino Tuzi, morto misteriosamente suicida dopo aver raccontato agli inquirenti di aver visto la 18enne entrare nella caserma dei carabinieri di Arce, il giorno in cui scomparve.
Testimonianza a cui fece seguito, nel 2011, l'iscrizione, nel registro degli indagati per omicidio volontario e occultamento di cadavere, dei nomi dei Mottola. Nel 2019 tutti e tre sono stati rinviati a giudizio. La ricostruzione dell'accusa è quella che segue: Serena sarebbe stata lasciata morire per asfissia dopo aver sbattuto la testa contro lo spigolo di una porta dell'alloggio in uso alla famiglia Mottola al culmine di una lite con l'amico Marco.
I genitori di quest'ultimo, con il benestare dei colleghi del padre (accusati di concorso morale e, nel caso di Quatrale, anche di istagazione al suicidio per la vicenda di Tuzi), ne avrebbero poi nascosto il corpo, depistando le indagini. Tutto perché sembra che la giovane volesse denunciare il giro di droga di cui il ragazzo avrebbe fatto parte. Ricostruzione smentita, oltre che dalla difesa, anche dalle sentenze di primo e secondo grado.