Pamela Mastropietro aveva 18 anni quando, il 30 gennaio 2018, fu stuprata, uccisa e smembrata in un appartamento di via Spalato a Macerata. Il giorno precedente, aveva lasciato la comunità a doppia diagnosi a cui era stata affidata dal Sert a Corridonia, portando con sé solo due trolley: al loro interno sarebbero stati ritrovati i pezzi del suo corpo.
Dopo un lungo iter processuale, lo scorso gennaio la Cassazione ha definitivamente condannato all'ergastolo il cittadino nigeriano Innocent Oseghale, che ha sempre negato l'accusa di violenza sessuale e, attraverso i suoi legali, aveva presentato un ricorso straordinario. Ora la madre della ragazza, Alessandra Verni, si dice pronta ad incontrarlo. "Non significa, comunque, che l'ho perdonato", aggiunge.
Oggi, 18 febbraio 2025, la donna è intervenuta a "Fatti di nera", programma condotto da Sharon Fanello e Gabriele Raho, in onda dal lunedì al venerdì su Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre) e in streaming su Cusano Media Play.
"Mia figlia ha dovuto subire tante atrocità", ha dichiarato Verni. "Spero che qualcuno riapri il caso per fare luce sui complici di Oseghale e sulle responsabilità della comunità di Corridonia". Lo ha sempre detto: di dubbi da chiarire, sulla morte di sua figlia Pamela, ce ne sono molti.
A confermarlo, rispondendo alle domande dei conduttori, anche la professoressa Marina Baldi, che ha seguito il caso come consulente della famiglia. "Oseghale non può aver fatto tutto da solo - ha detto - e la comunità di cui Pamela era ospite non avrebbe dovuto lasciarla uscire da sola, oltretutto dopo averle somministrato la terapia sbagliata".
Quando incontrò Oseghale, Pamela si trovava in una condizione di fragilità psicofisica: si fidò, e l'uomo la attirò in una trappola da cui non sarebbe più uscita viva. "Il problema è che le indagini sono state fatte male fin dall'inizio", spiega Baldi.
"Ci sono due Dna mai identificati, ci sono intercettazioni telefoniche che collocano delle persone insieme a Oseghale, quel giorno. Quando hanno dissequestrato l'appartamento in cui mia figlia è stata uccisa, c'erano ancora delle sue cose dentro: non sono mai state repertate", prosegue Verni.
Non è tutto. "Oseghale accusò due persone che furono poi rilasciate. Non sono mai stati fatti ulteriori accertamenti, non si è andati avanti", denuncia la mamma di Pamela che, dal canto suo, non si è mai arresa. "Ci dobbiamo difendere da soli", ha dichiarato, "perché non siamo tutelati".
"Il giubileo è iniziato con l'apertura della porta del carcere di Rebibbia e si chiuderà con una giornata per i detenuti: le vittime dove sono? Per loro da parte delle istituzioni non c'è alcun rispetto. Anche per questo ho pensato di organizzare una manifestazione", ha aggiunto.
"Ne approfitto per fare un appello a tutte le famiglie e a tutte le vittime sopravvissute, di unirsi a noi e portare proposte e leggi", ha concluso, prima di dare voce, con una commovente lettera, alla figlia. "Mi chiamo Pamela Mastropietro e ho 18 anni per sempre", le prime parole.
Quel 30 gennaio di sette anni fa, a Macerata c'era Pamela, ma al posto suo avrebbe potuto esserci chiunque. "La sua storia è una storia da non dimenticare", ha dichiarato la professoressa Baldi. Come quelle di Desirée Mariottini e Michelle Causo, uccise in circostanze simili a Roma.
Come quelle di tante altre vittime e tante altre famiglie. "Penso a Pietro Orlandi, a Roberta Carassai, a Paolo Pozzi, a Barbara degli Esposti: persone che si fanno portavoci del dolore che li affligge per dare forza agli altri, senza che chi di dovere faccia nulla", ha detto il crimonologo e giornalista Michel Maritato, presente in studio.
C'erano tutti, a gennaio, in piazza Re di Roma, per dire "no" all'archiviazione del caso di Gimmy Pozzi. Insieme, stanno facendo rete, ma ognuno di noi ha un ruolo affinché non rimangano inascoltati.