Cosa lega la pensione minima alle penalità per i mesi non contributivi? Questa è una delle domande più frequenti riguardo al trattamento minimo garantito dall'INPS. Sebbene nel 2026 sia previsto un lieve aumento dovuto alla rivalutazione, resta centrale la questione dei requisiti, tra cui la necessità di aver versato almeno un contributo entro il 31 dicembre 1995.
L'INPS riconosce, infatti, l'integrazione al minimo soltanto a chi ha maturato un'anzianità contributiva esclusivamente dopo il 1996, in base al sistema contributivo. Finché queste regole, spesso percepite dai lavoratori come complesse e poco eque, resteranno in discussione, sarà fondamentale comprendere non solo l'evoluzione dei criteri per l'accesso al trattamento minimo, ma anche gli importi, tenendo conto della rivalutazione annuale e di benefici aggiuntivi come la quattordicesima.
Ma perché la pensione minima è così importante? Nei paragrafi che seguono analizzeremo i requisiti aggiornati per il 2025, le penalità previste per i mesi privi di contribuzione e il loro impatto sul diritto alla pensione e sull'importo finale.
L'aumento della pensione minima viene spesso interpretato come uno strumento di sostegno volto a garantire un reddito dignitoso ai pensionati che, pur avendo maturato il diritto alla pensione, percepiscono un assegno inferiore ai limiti necessari per coprire i bisogni essenziali.
L'integrazione al trattamento minimo, prevista dall'INPS, non è automatica e deve essere richiesta esplicitamente.
Per ottenere questa integrazione, tuttavia, è necessario soddisfare alcuni requisiti fondamentali:
L'integrazione al trattamento minimo può essere riconosciuta in misura totale o parziale, a seconda della differenza tra l'importo della pensione percepita e la soglia prevista. Come già evidenziato, non viene concessa in modo automatico: deve essere richiesta all'INPS dai pensionati che rientrano nei limiti di reddito stabiliti dalla normativa e che abbiano versato almeno un contributo prima del 1996.
Un tema frequentemente dibattuto riguarda le maggiorazioni sociali applicabili al trattamento minimo, tra cui la più conosciuta è la quattordicesima, destinata ai pensionati che compiono 64 anni di età e soddisfano specifici requisiti contributivi e reddituali.
Un altro strumento importante è l'incremento al minimo, riservato ai pensionati con redditi bassi, il cui accesso è vincolato a determinati requisiti. Come riportato da money.it, l'incremento al minimo, o maggiorazione sociale, è una misura destinata ad aumentare l'assegno mensile dei pensionati con redditi bassi.
Gli importi delle maggiorazioni sociali dipendono da vari fattori, tra cui il reddito personale e la composizione del nucleo familiare. Il valore massimo riconosciuto è di 136,44 euro al mese, riservato ai pensionati che hanno compiuto 70 anni o più. Il valore minimo dell'integrazione non scende sotto i 25,83 euro al mese per i pensionati di età compresa tra i 60 e i 64 anni.
Secondo la circolare n. 23 del 28 gennaio 2025 dell'INPS, l'importo del trattamento minimo è stato fissato a 603,40 euro mensili, equivalenti a 7.844,20 euro annui. Tuttavia, per il 2025 è prevista una rivalutazione straordinaria del 2,2% per le pensioni pari o inferiori al trattamento minimo, che si somma alla rivalutazione ordinaria dello 0,8%. Questo aumento porta l'importo del trattamento minimo a 616,67 euro al mese.
I pensionati che percepiscono una pensione inferiore a questa soglia e vantano almeno un contributo versato prima del 1996 possono richiedere un'integrazione sul trattamento minimo.
Ad esempio, se una pensione erogata dall'INPS è pari a 550 euro, la differenza tra l'importo ricevuto e quello del trattamento minimo (616,67 euro) è di 66,67 euro al mese. Presentando la richiesta di integrazione, il pensionato potrà ottenere tale differenza.