04 May, 2025 - 13:00

L'amarezza di Renzi per il “tradimento” degli ex compagni del Pd: “Paura di non essere ricandidati?”

L'amarezza di Renzi per il “tradimento” degli ex compagni del Pd: “Paura di non essere ricandidati?”

Matteo Renzi rivendica la riforma del Jobs Act come utile al Paese e accusa i suoi ex compagni del PD, ora schierati per il sì al referendum abrogativo, di ipocrisia e opportunismo politico. Il leader di Italia Viva si toglie qualche sassolino dalla scarpa nei confronti di quei 'compagni' che oggi sconfessano la stessa riforma, che dieci anni fa sostennero con entusiasmo.

L'ex presidente del Consiglio, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera parla del referendum sul Jobs Act e punta il dito contro i traditori di quella stagione, spiegando anche perché a suo avviso non si raggiungerà il quorum necessario 'neanche con il binocolo'.

L'8 e 9 giugno 2025 in Italia si voterà per i referendum abrogativi sul lavoro e sulla cittadinanza italiana. Tra i quattro referendum sul lavoro promossi dalla Cgil di Maurizio Landini, c'è anche quello per l'abrogazione di alcuni articoli del Jobs Act, la riforma del 2014 votata in blocco dal Governo Renzi. 

L'attuale segretaria del PD, Elly Schlein ha dato indicazione al partito di fare campagna elettorale per cinque sì, compreso quello per l'abrogazione della riforma del leader di Italia Viva, creando non pochi mal di pancia nell'ala riformista – quella che dieci anni fa votò e sostenne il Jobs Act – chiedendogli di fatto di sconfessare quella stagione di riforme.

Renzi agli ex compagni: “Non hanno il coraggio di difendere il Jobs Act”

Non è colpa di Elly Schlein, ma di chi tradisce per assicurarsi un posto nelle liste elettorali. È questo in sintesi il succo del pensiero di Matteo Renzi sulla questione del referendum contro il Jobs Act. Il leader di Italia Viva prova a non attaccare l'attuale segretaria PD, con cui è  impegnato in una non facile co-abitazione nel campo largo.

Attacca, invece, gli ex compagni di partito, che dieci anni fa sostennero e votarono la riforma e che invece, oggi sembrano pronti a darle il colpo di grazia votando sì al suo smantellamento, o almeno a una parte di essa.

Il ragionamento di Renzi è semplice: non ce l'ha con Schlein e Landini che sono sempre stati contrari al Jobs Act, bensì con l'ala riformista del PD, quei deputati e senatori che nel 2014 votarono entusiasti la riforma e oggi la sconfessano, o nel migliore dei casi tacciono davanti alle indicazioni della segretaria, per timore di non essere ricandidati alle prossime elezioni politiche.

È un'accusa circostanziata quella del senatore di Italia Viva, che al Corriere della Sera ha dichiarato:

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“Nel 2015 quella stagione di riforme è stata utile al Paese. Non mi stupiscono Landini e Schlein che erano contro già allora, mi sconvolge l'ipocrisia dei presunti riformisti del PD che non hanno il coraggio di difendere il Jobs Act perché hanno paura di non essere ricandidati.

Referendum, quei silenzi che non piacciono a Renzi

Nella sua intervista, Matteo Renzi non fa nessun nome, ma parla in maniera generica di 'presunti riformisti'. In realtà non è difficile capire a chi fossero riferite le sue parole. A parlare per lui ci sono i numeri: nel 2014 su 300 deputati e senatori PD solo 40 si dissociarono, molti dei quali oggi tra i più stretti collaboratori della segretaria Schlein. I cosiddetti 'bersaniani' alla fine votarono a favore dopo una lunga trattativa con l'allora presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano. L'allora presidente del PD, Matteo Orfini, fece un appello all'unità del partito in occasione del voto.

Alla fine la Riforma del Jobs Act passò alla Camera con 316 sì, di cui 250 solo del PD Molti che, allora, votarono a favore oggi militano ancora tra le fila del Partito Democratico. L'approvazione della riforma fu accompagnata da commenti entusiastici dai big dem, che oggi invece la criticano e fanno campagna elettorale per l'abrogazione. 

A onor di cronaca bisogna dire che la linea dettata dalla segretaria è stata, seppur timidamente, contrastata da alcuni esponenti dell'ala riformista, ma senza successo. È anche vero che Elly Schlein, nel tesissimo direttivo del 27 febbraio scorso, ha lasciato libertà di voto, chiarendo però che il PD avrebbe votato sì e avrebbe fatto campagna elettorale coerente con tale indicazione.

Insomma, il segreto delle urne è salvo, ma guai a fare dichiarazioni a favore del no. E, infatti, dichiarazioni in tal senso non se ne registrano. Ai verbali ci sono solo silenzi. 
E probabilmente è a questi silenzi che si riferiva Renzi quando ha parlato di mancanza di coraggio e di ipocrisia, rivolgendosi ai suoi ex compagni di partito.

Perché Elly Schlein ha spaccato il PD per il Jobs Act?

La risposta è molto semplice, Elly Schlein non ha spaccato l'unità dem per il Jobs Act, anche perché - come sostengono i fautori del 'no' - il referendum non porterà all'abrogazione della riforma, o al ripristino dell'articolo 18, ma solo a una parziale riforma che andrebbe a discapito dei lavoratori.

E allora? Elly Schlein ha diviso il PD perché vuole trasformare i referendum in un voto contro Meloni. Portare alle urne un numero sufficiente di elettori e di sì da poter battere la destra in termini di voti rispetto alle elezioni del 2022. È per questo che la segretaria non parla quasi mai del Jobs Act, ma del lavoro in generale: di salario minimo, precarietà e sicurezza sul lavoro. Argomenti che interessano solo in maniera trasversale il quesito su cui gli italiani sono chiamati a esprimersi l'8 e 9 giugno.

La profezia sui referendum dell'8 e 9 giugno di Renzi

Non c'è comunque il rischio che il Jobs Act venga cambiato, dal momento che come ha dichiarato in passato Renzi, il quorum non si raggiungerà neanche con il binocolo.
Secondo il padre della tanto discussa riforma sul lavoro, il prossimo 8 e 9 giugno non si raggiungerà il quorum necessario perché le consultazioni siano valide. 

Lui a votare ci andrà. Italia Viva voterà contro il quesito sul Jobs Act, mentre lascerà la libertà di scelta su altri due dei quattro referendum della Cgil (in totale sono quattro) e voterà convintamente sì a quello sulla cittadinanza.

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Non cambierà nulla e tutti, dopo una settimana, si dimenticheranno di questa prova, ma io la prendo sul serio e faccio campagna per far capire che il Jobs Act non può essere imputato della precarietà. 

Non cambierà nulla per Renzi, ma il fallimento dei referendum potrebbero essere un duro colpo per Elly Schlein e Maurizio Landini.

Referendum Jobs Act, l’amarezza di Renzi e la spaccatura nel centrosinistra:

  1. Renzi difende il Jobs Act: L’ex premier e leader di Italia Viva rivendica la riforma del lavoro del 2015 come utile al Paese e accusa i suoi ex compagni del PD, ora schierati per il sì al referendum abrogativo, di ipocrisia e opportunismo politico.
  2. Il referendum dell’8 e 9 giugno 2025: I cittadini voteranno su quattro quesiti referendari promossi dalla CGIL, tra cui uno per abrogare parti del Jobs Act. Renzi è convinto che non si raggiungerà il quorum.
  3. Schlein e la linea del PD: La segretaria Elly Schlein ha dato indicazione di votare cinque sì, incluso quello contro il Jobs Act, puntando però più sulla lotta contro la destra che sulla riforma stessa. La decisione ha spaccato l’ala riformista del partito.
  4.  I traditori secondo Renzi: Renzi non attacca Schlein o Landini, storici oppositori del Jobs Act, ma i parlamentari riformisti del PD che nel 2014 votarono la riforma con entusiasmo e oggi, in silenzio o per convenienza, ne sostengono l’abrogazione.
  5. Profezia di Renzi sull’esito del voto: Il leader di Italia Viva prevede che il referendum fallirà per mancanza di quorum e che il Jobs Act non verrà toccato, ma ribadisce l’importanza di fare chiarezza su chi difende davvero le riforme strutturali del lavoro.

 

 

 

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